Idee e memoria

Il Giornale, Libero e Mussolini

Il Giornale e Libero mandano in edicola, contemporaneamente, degli allegati mussoliniani: chi il testamento e chi i diari (veri o presunti). Non è la prima volta che il testone mascelluto compare su quelle pagine, il che sollecita e autorizza una riflessione, per svolgere la quale credo vadano separati due temi: gli scritti di e su Benito Mussolini e la condizione in cui vivono questi che sono i due più diffusi e autorevoli quotidiani ruotanti nel mondo del centro destra.

Mi sia consentita, però, una breve premessa personale. Ho firmato molti pezzi su Libero e qualcuno su Il Giornale. Ne sono orgoglioso e compatisco quanti hanno avuto da ridire più sulle testate che mi ospitavano che per quel che scrivevo. Li compatisco perché credo che la tifoseria sia il massimo sforzo intellettuale cui possono essere chiamati. Aggiungo che pubblicherei i miei articoli anche in questi giorni, senza alcun imbarazzo. Sono nato e cresciuto nella cultura antitotalitaria, tanto antifascista quanto anticomunista, nella Palermo dei miei anni scolastici erano tanti i deficienti che marciavano a braccio teso, ma più numerosi erano i loro colleghi che strillavano a pugno chiuso, sicché suggerisco la lettura di Mussolini (suggerisco caldamente quella di Curzio Malaparte e del suo bellissimo: “Ben, il grande imbecille”) tanto quanto quella di Palmiro Togliatti (ma se volete imparare veramente qualcosa abbeveratevi alla grandezza di Antonio Gramsci). Solo leggendo si scopre che il “male assoluto” esiste solo nella testa dei pentiti e di quanti si vergognano, restando espressione del più diffuso costume nazionale: il nulla assoluto.

Veniamo a Mussolini. Chi è nato dopo il fascismo (oramai quasi tutti, volendo includervi anche chi in quegli anni era in fasce o Balilla) ha potuto comprendere qualche cosa di Mussolini solo leggendo Renzo De Felice. La retorica resistenziale e antifasciata aveva ubriacato la memoria e corrotto la storia, rendendo inspiegabile il passato. A causa della sua opera, eretica rispetto alla storiografia dominante, De Felice dovette subire l’ostracismo universitario e culturale. Se ne impipò e continuò il suo lavoro, casa di cui dovremmo essergli tutti grati.

Mussolini era un sindacalista socialista, il suo governo ebbe il consenso del popolo e divenne dispotico e dittatoriale nel tentativo d’inseguire una trasformazione profonda dell’Italia e degli italiani. Non ebbe la lucidità di Fancisco Franco, altrimenti sarebbe anche potuto morire nel suo letto. Nelle fucine culturali del regime si formarono la gran parte dei futuri comunisti, sicché, una volta appeso per i piedi il dittatore, capitò che i più preferirono cancellarne la memoria, mentre una minoranza di adoratori figliò grappoli di teste (rasate) di cavolo.

La nostra democrazia, la nostra libertà e la nostra Repubblica le dobbiamo ad una cosa cui nessun italiano partecipò: gli accordi di Yalta. Certo, una minoranza eroica combatté, in armi, in nazi-fascismo (divenuto tale in guerra e con l’occupazione), ma all’interno del mondo partigiano vi furono anche quanti, e non pochi, avrebbero voluto sostituire una dittatura con un’altra. Fortunatamente persero, anche per volontà di Stalin.

Gli scritti di Mussolini, così come le sue opere, sono parte della nostra storia. Sono anche parte della nostra realtà, architettura e urbanistica comprese. E la storia non la si legge, studia e comprende mai abbastanza. Quindi, nulla da dire sulle pubblicazioni.

Però, neanche dobbiamo prenderci in giro, perché la contemporaneità degli inserti assume un significato in sé. Qui, una nota stilistica: si chiama Mussolini, non Duce. Se un giornale russo pubblicasse scritti di Stalin farebbe cosa meritoria, ma se lo chiamasse “piccolo padre dei popoli”, saremmo autorizzati a ricordare loro il Gulag e altri dettagli. Il punto è: perché questi due quotidiani ripropongono, contemporaneamente, gli scritti in questione? Si potrebbe rispondere: perché Mussolini, nei suoi anni socialisti, si fece arrestare avendo bloccato i treni e cercato d’impedire la partenza dei nostri militari per la Libia. Ma temo che si andrebbe fuori tema.

Non so se quelle pubblicazioni giovano alle vendite. Me lo auguro e lo auguro loro. Capisco che c’è anche il gusto della provocazione e dello sberleffo: ci dite d’essere servi del despota odierno, ce lo rimproverate voi che siete codini moralisti, nonché alleati degli unici fascisti restati in circolazione, ovvero i giustizialisti, allora beccatevi testamento e diari (presunti) di Benito. E capisco che si voglia ribadire la diversità rispetto a chi ha dipinto il passato e cerca di colorare il presente con le tinte fasulle e menzognere delle ideologie. Poi c’è quello che non capisco, e me ne scuso, ma quel che preoccupa è che la cultura del mondo che vive attorno al centro destra, le penne migliori di un mondo che non s’è voluto piegare al conformismo luogocomunista, non aspirino a costruire un’idealità e dei contenuti che sappiano parlare al mondo del presente e proiettarsi nel futuro, anche, perché no, inseguendo quell’egemonia che una lettura meno fumettistica di Gramsci farebbe apparire come cosa buona e giusta. Dedicarsi al pernacchio è una lussuria cui talora indulgo, ma serve anche dell’altro.

Su Libero e Il Giornale c’è più libertà e policromia di quante non se ne trovino su blasonati giornaloni. Su quelle pagine si sono trovate e si trovano riflessioni critiche, anche nei confronti del governo attualmente in carica, di cui gli abbaiatori dell’antiberlusconismo non sono capaci. Starei per dire che la debolezza della destra (mica è un insulto, quindi finiamola anche con le edulcorazioni) italiana consiste nell’incapacità di definirsi e definire una lettura coerente e omogenea del mondo che ci circonda. Ma sarebbe un rilievo assai parziale, perché questa è la debolezza non della destra o della sinistra, per non dire del centro, è una debolezza della politica. Scarseggiano le idee, scarseggia la capacità di un racconto collettivo che non sia una favoletta per elettori minorati.

Non sento alcuna nostalgia delle ideologie, per loro natura tutte a vocazione totalitaria, ma il loro tramonto non può e non deve comportare il buio sul futuro. Né si può credere che un paese Possa campare a lungo di odii e contrapposizione, perché è vero che la gran parte dei voti si raccolgono “contro”, ma è anche vero che il risultato si vede. E non è bello.

Quindi, leggerò gli inserti di cui s’è annunciata la pubblicazione. Vorrei suggerire, però, che c’è anche dell’altro, sia nel nostro passato che nel nostro presente.

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