Idee e memoria

Il grembiule e la mutanda

In commissione cultura, alla Camera dei Deputati, s’è proposto il ritorno, nelle scuole, al grembiule. Il ministro dell’istruzione ha manifestato consenso. Il grembiule noi lo mettevamo per la stessa ragione per cui gli impiegati tenevano le mezze maniche, per non sciupare gli abiti. Avevamo i pantaloni corti, ma non per far prendere aria ai polpacci, bensì per non bucare quelli lunghi al ginocchio. E quando ci compravano le scarpe nuove, che rimanevano tali per mesi, era severamente proibito giocarci al pallone. Ora le cose sono un po’ cambiate:

le scarpe nuove sono quelle per il pallone, mentre i pantaloni sono lunghi e li si taglia al ginocchio per dargli un aspetto vissuto. Direi che oggi la situazione è migliore, ma l’idea del grembiule può essere comunque buona, specie se vista dal lato dei genitori. Due argomentazioni, però, mi sembrano proprio sbagliate: a. servono ad evitare la corsa alle griffe; b. servono a far sentire gli scolari tutti uguali.
I bambini, quando sono tali, vengono vestiti dai genitori. Crescendo manifestano i loro gusti, inevitabilmente influenzati dall’educazione e dalla moda. Non mi preoccupa, pertanto, la ragazzina che voglia vestirsi come Madonna, mi preoccupa la madre che vuole vestirsi come la figlia.
Fuori dalle scuole ci vado, e ricorrentemente mi faccio una cultura su quanto una mutanda femminile possa essere al tempo stesso inutile, ridotta ad un filo e venti centimetri più in alto dei pantaloni. Ove mai possano definirsi tali quelle robe a vita bassa e cavallo inguinale. Le camice delle stesse signore, del resto, sembrano essere state lavate prima dell’invenzione dell’acqua fredda e tutte devono esservi ristrette di almeno due o tre taglie, talché il bottone e l’asola si tengono disperatamente, in uno straziante dilaniamento che lascia intravedere quel che un tempo era l’intimità, ed ora è la marca di come non si copre la medesima. Lo spettacolo è imbarazzante, di raro cattivo gusto, niente affatto eccitante ed anche assai triste, perché quelle mamme sono in diretta concorrenza esibizionista con le loro figlie o le amiche dei loro figli (pornomamme, direbbe il saggio). I padri si vedono meno, ma quando compaiono sembra che ignorino l’esistenza stessa di un lavoro e del suo relativo abito. Abbronzatura in pieno inverno e capigliatura balsamata sembrano studiate apposta per evitare di mettere i pargoli in soggezione, caso mai avessero una qualche paura dell’autorità paterna. E tutti questi bei genitori non lasciano correndo i figli, per andare altrove, ma si fermano, conversano, si dirigono a far colazione assieme, come se la classe fossero loro ed i figli solo il pretesto per rivedersi.
Ci sono anche tantissimi genitori, naturalmente, che si fanno in quattro per conciliare il tutto e la mattina si vestono in modo non trasandato, ma dignitoso. Però non fanno trend, a giudicare da quel riassunto mendace che sono film e sceneggiati vari. Del resto, ai ragazzi possiamo mettere anche il grembiule, ma se poi la professoressa ha il culo in bella vista o il professore fuma lo spinello in classe, dubito che l’effetto sia quello desiderato.
E, poi, perché mai si dovrebbero combattere le griffe? Abbiamo spiegato in lungo ed in largo che la cultura italiana nel mondo è rappresentata da Valentino, mentre sono dovuti arrivare i giapponesi per avvertire il bisogno di scusarsi a causa di scritte su un monumento! No, non sono le griffe, il pericolo, ma l’esibizionismo conformista. Così vengo al secondo punto: il cielo ci salvi dal maoismo scolastico. Ai ragazzi non si dovrebbe spiegare che si deve essere tutti uguali, ma che ciascuno dovrebbe aspirare ad essere diverso, e possibilmente migliore. L’anticonformismo dovrebbe essere invogliato, anche perché non privo di fascino e riferimenti culturali. L’intruppamento scoraggiato, anche perché sovente s’accompagna a spiacevolezze.
Si vuol tornare al grembiule? Bene, ottima idea, ma per non sporcarsi. Il resto va combattuto per quello che è, senza nasconderlo sotto al fiocco.

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