In Francia si discute sul diritto o meno di ostentare simboli religiosi, in Italia c’è in giro qualche rintronato che vorrebbe praticare infibulazione negli ospedali pubblici. Non si tratta, solo, di una differente percezione della civiltà e della tolleranza, ma, anche, dell’emergere di uno spaventoso vuoto culturale.
La laicità dello Stato, della cosa pubblica, non è l’ideale di una fazione politica, ma un patrimonio civile intangibile, un bene prezioso che rende tutti più liberi. I francesi si sono trovati a dover misurare la laicità della cosa pubblica (in quel caso della scuola pubblica) con le inevitabili contraddizioni che nascono con la società multirazziale, quindi multiculturale e multireligiosa. Ora, intendiamoci, una società di quel tipo è una conquista, il mondo che desideriamo è un mondo nel quale convivono, a stretto contatto di gomito, idee, convinzioni, credi, colori e forme diverse. Il problema, però, nasce nel momento in cui un simbolo degli uni dovesse essere considerato oltraggioso per altri. I francesi hanno tagliato il nodo: nessun simbolo può essere sfoggiato (nel pubblico, perché nella scuola ebraica od in quella cattolica, nulla osta a girare con treccine o maxi crocefissi al collo). Hanno potuto farlo anche perché, colà, lo Stato laico non ha mai esposto alcun simbolo religioso nelle sue sedi. Ed anche per questo di loro siamo invidiosi.
Nella cattolica Italia, invece, al calar della tensione religiosa ed alla disaffezione al rito, si accompagna l’idea bastarda che la laicità sia qualcosa di simile alla multireligiosità. Il che è una bestemmia, in tutti i sensi. E’ laico lo Stato nelle cui aule possano sedere alunni d’ogni provenienza, non quello nel quale le aule siano tappezzate di tutti i simboli religiosi immaginabili.
La debolezza culturale, anzi, l’ignoranza pura e semplice, l’assenza di valori civili, può far dire a taluni (si legga Vattimo) che il praticare l’infibulazione negli ospedali pubblici potrebbe servire a mostrare rispetto verso un rito, senza imporre inutili sofferenze alle ragazzine. Laddove, credo, occorrerebbe affermare: il primo che trovo ad infibulare qualcuno, sul mio territorio nazionale, lo sbatto in galera e lo non faccio uscire più.
Perché l’infibulazione è tortura, è mutilazione permanente, è umiliazione della persona. L’inginocchiarsi dell’ospedale pubblico, e, con questo, della pubblica civiltà, alla teocrazia tribale è spettacolo degno di un mondo senza morale, senza coraggio, senza idee.
Noi laici, di certo, a questo non ci piegheremo.