Idee e memoria

La meritocrazia è preziosa per i deboli

Nella legge finanziaria, a saper cercare, ci si trova di tutto. Dicevamo della proibizione di vendere alcool ai minorenni, concordando. Ma dei giovani ci si occupa anche per quel che riguarda la selezione scolastica, che già è estremamente bassa.

Ebbene, nell’articolo 66 si ragiona così: avere dei ripetenti significa dovere affrontare costi superiori, perché la stessa persona frequenta due volte la stessa classe, allora, per risparmiare è necessaria “l’adozione di interventi finalizzati alla prevenzione ed al contrasto degli insuccessi scolastici attraverso la flessibilità e l’individualizzazione della didattica, anche al fine di ridurre il fenomeno delle ripetente”. Una prosa che, già da sola, racconta quanti guasti crea il non bocciare taluni.

Il criterio in sé, secondo il quale promuovendo tutti si risparmia, non merita d’essere commentato. Interessa di più capire chi viene danneggiato, chi paga. Ecco, deve essere chiaro che una scuola non formativa e non selettiva è una gran fregatura per i più svantaggiati e, per dirla in modo più preciso, per i più poveri, per quei ragazzi che non erediteranno una rendita di posizione. Se sei figlio di un ricco, campi tranquillo riscuotendo affitti, interessi, cedole. Se sei figlio di un notaio puoi anche studiare diritto colpendo di rovescio, tanto, alla fine, ti lasciano uno studio dispensabolli con il quale campi più che bene. Anche il figlio del tassista, in barba all’iniziale decreto Bersani, può contare sul non aumento delle licenze. Ma chi nasce in famiglie che si guadagnano da vivere cercando spazi nel mercato, chi non ha rendite sulle quali contare, chi non ha santi cui votarsi, chi può contare solo su se stesso e sulle proprie capacità paga, ed assai caro, il fatto d’investire anni ed anni della propria vita in una scuola che non promuove e fa avanzare i più bravi, fermando gli altri, ma, al contrario, promuove tutti, lasciando che le differenze rimangano, ma siano date dal come si è nati. Una grande ingiustizia.

La lettura di quel comma, con il suo andamento cunicolare e malsociologico, induce a pensare che sia in corso uno sforzo affinché nessuno resti indietro. Sembra giusto, ma non lo è. La scuola pubblica deve essere aperta a tutti, e tutti devono essere messi nelle condizioni d’eccellere. Ma, dopo, chi eccelle deve andare avanti e chi non riesce ha il diritto di impiegare in modo più produttivo il tempo. Alla fine, insomma, si riafferma l’idea che il sistema dell’istruzione ha come scopo il titolo di studio, e siccome tutti hanno diritto a studiare tutti hanno diritto al titolo di studio. Con questo andazzo, appunto, sono i più deboli a rimetterci, mentre i più forti possono tranquillamente conservarsi tali, oltre che, eventualmente, zucconi.

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