Idee e memoria

La pessima Italia di Pier Luigi Celli

Pier Luigi Celli ha inviato, dalle colonne de la Repubblica, una lettera a suo figlio. Non credo abbiamo problemi di comunicazione, ma ha voluto trovare un modo originale per rivolgersi ad un giovane, ben laureato, cui ha detto: questo Paese fa schifo, si va avanti solo per spinte familiari e clientelismo, il merito non conta, quindi, caro mio, per quanto mi dispiaccia, faresti bene ad andartene.

Probabilmente in molti sottoscriverebbero, non a torto, ma a me non è piaciuta. Un lettore, intelligente e spiritoso, ha sintetizzato il concetto, scrivendomi: Celli ha commesso un errore, non doveva indirizzarla a suo figlio, ma al mio.
So che le citazioni scoraggiano, e me ne scuso, ma ne farò solo un paio. Egli dice, al figlio, bravo ragazzo che ancora crede all’“idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro”, che, invece, “tutto questo ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili, di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l’affiliazione, politica, di clan, familistica”. Oggi Celli, uomo d’indubbio valore, è direttore generale dell’università Luiss. Sono andato a leggerne il sito e la biografia, dove ho notato che, fra le opere citate, manca un libro che ebbe un certo successo. S’intitolava: “Comandare è fottere – Manuale politicamente scorretto per aspiranti carrieristi di successo”. Nel presentarlo l’autore sosteneva trattarsi di un “piccolo vademecum per bastardi di professione”, ed aggiungeva che “nascere bene aiuta, eccome”. Sicché, i conti non mi tornano.
Non credo l’individualismo sia un disvalore, ma ritengo debba accompagnarsi alla responsabilità individuale. Il Celli di oggi, dopo aver venduto copie grazie a quel tipo di lancio, non può prendersela con la “società”, classico rifugio dell’anonimato sociale e del mugugnare senza costrutto. Inoltre, Celli è stato direttore generale della Rai, dove non fu nominato da una mano divina, bensì politica. Ed a me va bensissimo (salvo il fatto che sono per la privatizzazione della Rai, quindi per la cancellazione delle nomine politiche), ma faccio fatica a beccarmi anche la predica. Inoltre è stato responsabile del personale e dell’organizzazione in alcuni grandi gruppi: oltre alla citata Rai, Enel, Eni, Ominitel e Olivetti. Ove mai avesse una predilezione per il merito sulla raccomandazione avrebbe potuto, come dire, lasciare qualche segno.
Sempre rivolgendosi al figlio, gli scrive. “Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo fatto magari il taxista, si vede premiato con un Consiglio d’Amministrazione, o non sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie, accede imperterrito al vertice di una Multiutility”, rischiando, nella vita professionale, di guadagnare “un centesimo di una velina o di un tronista”. Mi scusi, professor Celli, ma lei dorebbe fare i nomi, che, per giunta, non sono pochi. In assenza mi viene in mente il suo, che siede nel consiglio d’amministrazione di Hera, che è, appunto, una multiutility, vale a dire una ex municipalizzata le cui nomine, ancora una volta, sono di tipo politico (e il cielo sa quanto mi facciano orrore questi animali misti, mezze società per azioni e mezze dependance dei sindaci). E’ vero, lei non ha fatto il taxista, ma non mi sarà diventato anche classista? In quanto a veline e tronisti, la penso come lei, ma mi sarebbe piaciuto che l’allora direttore generale della Rai la smettesse di pagarli con i miei soldi. Purtroppo non avvenne.
Infine, consideri un particolare: la lettera è stata scritta in ritardo, ovvero alla fine degli studi universitari. Che saranno anche stati condotti con diligenza, ma in un sistema universitario che è fra i peggiori al mondo. Una delle cause (solo una) risiede nell’assurdo ed anacronistico istituto del valore legale del titolo di studio, quindi nell’assenza di libertà e concorrenza. Perché l’attuale direttore della Luiss non lancia una bella campagna contro questa roba, senza aspettare di dovere scrivere ai nipoti? Vede, non è un male che i nostri ragazzi girino il mondo, per studiare e lavorare, è un disastro che loro coetanei, di Paesi sviluppati, non vangano, in egual, o maggior, numero, e pagando, da noi. Il che, forse, ha a che vedere anche con il suo attuale incarico.
C’è molto di vero, in quel che Celli scrive, ma c’è anche la cosa peggiore dell’italico andazzo: nessuno che si senta responsabile di niente.

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