Da molte parti si celebra il ’77. Fu anno di violenze e d’indiani metropolitani. Più che celebrare ci sarebbe da commiserare. Fra chi ne pagò le conseguenze vi sono molti studenti di famiglie disagiate, ragazze e ragazzi che hanno visto i contestatori privilegiati conservare i loro privilegi, lasciando agli altri povertà ed emarginazione, lasciando agli ottusi la galera per terrorismo ed ai deboli l’inferno della tossicodipendenza. Averne nostalgia è folle.
Allora si disse di non volere una scuola di classe. Adottando questa categoria marxiana dirò che neanche noi vogliamo una scuola di classe. Per questo vogliamo, come dice Tony Blair, una scuola dove all’ingresso dei professori gli studenti si alzino in piedi. Il rispetto della pubblica autorità è condizione perché venga meno l’esclusività del rispetto per i privilegiati. E vogliamo docenti che meritino quel rispetto, selezionati prima d’essere selezionatori. Vogliamo una scuola meritocratica, severa, che premi i bravi e bocci i somari. Non vogliamo una scuola consolatrice, accompagnatrice d’ignoranza a salvaguardia di un’eguaglianza che è solo ripetizione e conservazione delle disuguaglianze. Vogliamo una scuola libera, di cui si preservi il valore ed il pluralismo culturale abbattendo il totem del valore legale del titolo di studio. Non della legalità del titolo, ovviamente, ma dell’idea che il valore della formazione non stia nella persona che ha acquisito conoscenze, saperi e professionalità, ma nel titolo, nel pezzo di carta che attesta non si sa cosa e pretende di garantire un privilegio. Alla fine vale solo nella pubblica amministrazione, paradiso dell’improduttività.
Dal mondo non potranno mai essere eliminate le disuguaglianze e l’essere poveri resterà spesso un’ingiustizia. Ma la cosa più straziante della povertà è il pensare che in quella condizione resteranno anche i nostri figli. Per rompere quel cerchio vogliamo che il sapere sia strumento d’ascesa sociale, e l’ignoranza una buna ragione per discendere. Per i viziatelli del ’77, forti dalla parte dei forti, la meritocrazia era autoritarismo, la promozione garantita una libertà. Noi stiamo dalla parte dei deboli e speriamo che presto la cultura italiana faccia un passo avanti, liberandoci dagli avanzi piagnucolosi di quella stagione d’odio e miseria morale.