Idee e memoria

L’affido condiviso ed i padri dei padri

Il principio secondo cui è bene affidare i figli minorenni di separati o divorziati ad entrambe i genitori è giusto, ed è divenuto legge da un anno, con l’affido condiviso. Il principio è giusto, ma la legge è difficile. Nei tribunali non si incontrano gli angeli, ma si scontrano gli umani.

Sposare o meno una determinata persona è una scelta personale, non sindacabile, e se il rapporto si riferisce solo a loro due sono favorevole anche al divorzio istantaneo. Arrivederci e grazie. Ma mettere al mondo un figlio, pur non essendo sempre una scelta, è sempre un atto che cambia la vita ed accende responsabilità non estinguibili. E’ la tutela del minore a rendere indispensabile la presenza del giudice ed impossibile la risoluzione del matrimonio come se fosse un fatto meramente privato.
La natura impone che il figlio sia dei due genitori, la legge prova a far sì che li conservi anche quando si dividono. Sarebbe giusto e bello, se non fosse che i due possono trovarsi in una condizione di non esauribile conflitto, che uno o entrambe abbiano desiderio di rivalsa, che la partita economica sia rilevante e non per l’entità del patrimonio da spartire, ma per la miseria con cui ora mantenere due nuclei familiari. Questi sono gli ingredienti che avvelenano il giusto principio dell’affido condiviso. I giudici che operano direttamente nel vivo di questi conflitti tendono ad aggirare l’ostacolo aggirando la legge, ed affidando i figli ad un solo genitore, quasi sempre la madre.
Molti padri per questo protestano, ed hanno ragione. Ma segnalo anche che, a titolo d’esempio, in quel di Roma il sessanta per cento delle separazioni sono consensuali e che i due si presentano davanti al giudice avendo già stabilito che i figli staranno con la madre. Quei padri hanno ragione, lo ripeto, e non è un loro problema, ma un nostro problema collettivo il fatto che molti, invece, di fare il padre proprio non hanno voglia.
Il Parlamento prende ora in esame la possibilità di cambiare la legge. Dopo solo un anno, e già questo segnala come il nostro diritto stia divenendo un’immensa sabbia mobile. Ma non basta, perché nel ribadire la bontà dell’affidamento congiunto il legislatore sembrerebbe intenzionato a legittimare anche i nonni, offrendo loro la possibilità di accedere ai giudici per rivendicare i loro diritti ed il loro ruolo. Questo, lo si sappia, già avviene, nei casi in cui è fondata e rilevante la lamentela, ma ulteriormente specificarlo nella legge è follia, perché alla fine questi ragazzi avranno un solo punto di riferimento: il giudice.
Già, perché sarà il giudice la figura saggia ed equanime. Sarà il giudice il vero nonno. I nonni naturali entreranno a far parte della giostra demenziale che ruota attorno al minore, disputandosene il tempo e cercando di sborsare meno quattrini possibile. Mentre i genitori naturali, con l’ingresso dei nonni in giudizio, torneranno ad essere non più gli adulti che compiono scelte e se ne assumono le responsabilità, ma dei minorenni mentali, dei colleghi dei figli, come loro dipendenti dal giudice.
L’errore di partenza, il passo sbagliato che muove il tutto verso quest’obbrobrio, è pensare che la legge e la giurisprudenza siano in grado di cancellare il male ed il dolore dalla terra. Così come un matrimonio è gioioso, una separazione è dolorosa. Se coinvolge dei minori è dolorosissima e chi l’affronta ha, evidentemente, scelto fra due mali. Nessuna legge potrà mai alleggerire questo peso. Si tratta solo di evitare di aumentarlo e di non gettare i bambini nel frullatore giudiziario.

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