Idee e memoria

Leggetelo, D’Alema

Non facciamo scherzi: il libro di D’Alema va comperato, letto e conservato. C’è più storia politica in queste cento pagine che in tomazzi ricolmi di documenti mal digeriti. Anzi, è davvero incredibile che lo abbia scritto.

Le pagine di “A Mosca l’ultima volta” (Donzelli, prendete nota) raccontano il viaggio verso i funerali di Andropov. Siamo nel febbraio del 1984. D’Alema è nato e cresciuto nel mondo comunista, ed ha coltivato con assiduità e diligenza i buoni rapporti con il mondo del “comunismo realizzato”, da Mosca all’Avana. Non è, a quell’epoca, come a tratti vuol far credere (con un’inedita modestia), un giovincello sprovveduto. Racconta, da quel punto d’osservazione, un viaggio nel corso del quale Berlinguer gli spiegherebbe l’oramai inarrestabile decadenza del mondo sovietico, condito dalla gerontocrazia che caracolla dietro la bara.

Simpatica l’idea di spiegare la fine di un mondo attribuendo a Berlinguer una penetrante osservazione sulla malfattura delle caramelle comuniste, od una barzelletta raccontata al troppo tardo Bufalini, ma è un vero peccato che nel libro non si trovi una sola parola su quello che è acclarato come non smentibile verità: loro, i comunisti italiani, i Berlinguer, i Bufalini ed i D’Alema della delegazione condogliate, erano finanziati con i soldi dei sovietici. Lo erano in quel momento, lo erano sempre stati, e lo saranno per gli anni a venire. Questa era la lucida consapevolezza che avevano, circa la fine di quel mondo. Questa la loro lungimiranza, questa la loro sensibilità democratica.

Furbo, il D’Alema, a citare la questione dei missili, così da non vedersela sbattuta in faccia da chi avesse notato la mancanza. Ma patetico voler far credere che i “movimenti per la pace” fossero il frutto di una spontanea mobilitazione di popolo: erano il frutto della propaganda e dei soldi sovietici. Furbesca l’idea di giustificare l’isolamento comunista con il sollevarsi della questione morale, ma quale questione morale poteva mai essere posta da un gruppo dirigente che si alimentava di soldi sporchi di sangue?

Davvero, non facciamo scherzi, prendete queste cento pagine. Leggetele, cercatevi le ragioni per le quali Craxi aveva torto sulla questione dei missili, e convincetevi, una volta per tutte, ove mai vi fosse rimasto il dubbio, che aveva ragione (e con lui, se è consentito ricordarlo, quel mondo democratico cui appartengo).

Ma sì, l’odiato Craxi, l’uomo cui Berlinguer guardava come ad un pericolo per la democrazia. D’Alema lo ricorda, descrive i passaggi che giustificavano quel timore, a cominciare dal decreto sulla scala mobile. Leggeteli, quei passaggi, così che si ribadisca che i comunisti italiani si trovarono su una posizione retriva, conservatrice, dannosa per gli interessi del Paese ed in minoranza presso quella che ancora chiamavano la “classe operaia”.

E non basta. Quando quella battaglia fu impostata, ci dice D’Alema, il più duro non fu Berlinguer, che, anzi, pare (dico pare perché da fuori non sembrò), volle conservare il filo del dialogo con i socialisti. No, i più duri furono Fassino e D’Alema stesso. E noi, che siamo lettori affezionati della politica, che cerchiamo, da anni, negli scritti di ex comunisti la traccia di un’onestà politica che ancora sfugge, noi ricordiamo quel che ha scritto Fassino, attribuendo a Berlinguer e Natta la responsabilità di una battaglia sbagliata, quella sulla scala mobile. Uomini d’indubbia solidità e trasparenza, i nostri contemporanei, non c’è che dire.

Ci consegnano, le pagine dalemiane, il quadro veloce e preciso di una forza politica che aveva sbagliato quasi tutto, che della mancanza di una sinistra di governo attribuiva, ed ancora attribuisce, la responsabilità ai socialisti, che erano minoranza, assolvendo, ieri ed oggi, se stessi, che erano maggioranza. E’ questa la forza politica che viene portata al governo dal colpo di mano giudiziario. Un colpo di mano cui il “pericolo per la democrazia” oppose un discorso in Parlamento e la fuga all’estero.

Ah sì, non facciamo scherzi. Questo è un libro prezioso, del quale non si ringrazierà mai abbastanza l’autore, che riapre lui questo capitolo del passato, mostrandosi orgoglioso di quel che a me pare vergognoso.

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