Idee e memoria

Libero su Libero

Fosse solo un parlare di noi stessi, sarebbe molesto. Fosse solo per rispondere a quattro presunti intellettuali de sinistra, saccenti luogocomunisti, che si sentono colti sol perché stolti, sarebbe mortalmente noioso. Ha ragione Giampiero Mughini. Ma dietro la fascistissima idea che non si possa scrivere per Libero, senza rimanerne marchiati a vita, essendo rilevante non quel che ciascuno pensa e scrive, ma il luogo ove lo si fa, si cela un problema collettivo. Non abbiamo il diritto d’ignorarlo, non possiamo far spallucce.

Dietro alla campagna che si è scatenata contro uno scrittore, non destro e non berlusconiano, che accetta di pubblicare su queste pagine, non s’intravede solo una gran debolezza culturale, ma una malattia morale. Leggete il gran argomento di chi, compiacendosi per quella che crede essere una propria immaginifica e schiacciante logica, cerca di dimostrare l’impossibilità di essere liberi su Libero (l’ho trovato in un resoconto di Francesco Borgonovo): “Se il giornale dei nazisti ti offrisse di collaborare senza censurarti, accetteresti?”. Rispondo volentieri: sì. Perché dimostrerebbero di non essere nazisti. Ma visto che gli svasticati scarseggiano, sicché non si può far la prova, manifesto la mia disponibilità a scrivere, da domani, per un giornale comunista. Oh, senza offesa, non adiratevi, se ho detto “comunista”. Quando cominciamo?

Libero non solo è il luogo in cui ho trovato, da uomo della sinistra democratica, la più assoluta libertà, ma è pieno di collaboratori intellettualmente autonomi e capaci di opporre, come abbiamo molte volte opposto, il dissenso innanzi alla politica condotta dal centro destra. La stessa cosa non avviene a sinistra. Non sto dicendo che nei giornali di sinistra non ci siano dibattiti e scontri, ma il diritto di parola è riconosciuto solo a chi, prima, si è affiliato. Solo fra loro, insomma, accettano di accoltellarsi e, anzi, lo fanno con appassionata lussuria. Ma se un argomento è proposto da un non militante, allora lo si tace, omette, cancella. Non c’è posto, per chi non è buono, sano, puro, dalla parte della ragione.

Sulla base di quale discrimine? Signori miei, è questo il lato più triste: un tempo c’era l’orrido capitale dei profittatori e affamatori, contro il sole sorgente del mondo pacifico e redistributivo. Appurato che quel mondo produceva guerre e fame, s’è ritenuto saggio abbandonare quell’unità di misura. Quale altro, allora? Berlusconi, Lui. Verso il quale i presunti oppositori nutrono un tale culto della personalità da mettere in imbarazzo i più acquiescenti fra i vassalli. Il discrimine s’è ridotto ad un solo nemico, a fronte del quale gli ex missini sono compagni che tornano e i leghisti costole che riprendono il loro posto. Silvio, invece, con la sua stessa esistenza e con la sua raccapricciante ed indisponente tendenza a raccogliere la maggioranza dei voti, consente di tenere in vita questa buffonesca guerra civile. Per armare la quale, se ne vergognino, quelli della sinistra non disdegnano affatto di aggirarsi assieme alle squadracce del giustizialismo, non lesinano olio di ricino giudiziario, non risparmiano lo sberleffo delle gogne mediatiche, e se ne fregano delle sentenze, quelle vere, considerate caduco orpello della giustizia borghese. Sveglia, compagnucci della parrochietta, siete tornati fascisti, senza aver mai smesso d’esser chierichetti!

Il loro mondo è chiuso, perché solo sigillandolo possono continuare a litigare senza prendere atto che stanno parlando solo ed esclusivamente a se stessi. E il mondo culturale italiano fa progressivamente sempre più pena, perché l’insieme degli strumenti editoriali è largamente nelle mani di questi onanisti orgiastici. Non è affatto vero (e mi riferisco al libro di Pierluigi Battista) che gli intellettuali italiani sono divenuti tutti conformisti, è che, al netto della tradizionale vigliaccheria e non meno radicata attitudine lecchina, chi non è conformista non è considerato intellettuale.

In realtà, l’idea che un giornale possa divenire un partito politico, o, meglio, una fazione che non si sottopone al giudizio degli elettori, è una trovata di Eugenio Scalfari, che ha condotto la sua lunga carriera utilizzando un trasformismo coerente con la peggiore ascendenza italica. Un terzo chiesa, un terzo partito ed un terzo lobby. E via così. Il tratto geniale è consistito nel travestire il più triste conformismo da coraggioso anticonformismo. Avrà un posto nella storia del giornalismo italiano, non c’è alcun dubbio, ma quelli che si sono formati a quella scuola, quelli che ne hanno bevuto il nettare disponendo di un palato inadeguato, si son rincitrulliti. Ed eccoli lì, a dirsi orgogliosi di non leggere, di non conoscere, di non sapere, contando, così, non solo di proteggere, ma di glorificare il loro ruolo intellettuale. L’intellettuale che non legge, che si rifiuta di leggere. Come il prete del Belli, che sconsiglia i libri, che non è roba da cristiani. L’indice, il rogo, il rifiuto. L’oratorio rosso, alla disperata ricerca di compiacere la curia.

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