Idee e memoria

Libri che non devono far testo

Un tempo ci s’indebitava (pagando a rate) per avere un’enciclopedia. Il vocabolario era un investimento. Ora i quotidiani inseguono i propri lettori nella speranza di rifilar loro, per pochi euro, quei testi un tempo blasonati. Romanzi e saggi sono venduti, con successo, nelle edicole, confezionati con carta e stampa di buon livello, ma con prezzo ridotto per più di tre quarti.

Da quando il mercato editoriale ha smesso di attendere in libreria i propri lettori ed è andato a cercarli dove comprano da leggere le cose sono cambiate, ed in meglio. Se i libri scolastici fanno eccezione è perché quel mercato è chiuso, distorto ed inefficiente.
Gli acquirenti di quei libri non sono dei volontari, ma studenti per i quali sono i docenti a scegliere. Le case editrici sanno con esattezza quanti e dove sono i propri clienti. Questo dovrebbe far calare il prezzo, in particolare perché manca l’onerosa componente della distribuzione bendata, mentre invece sale. Dicono gli editori: meno dell’inflazione. Non so se sia vero, ma il fatto è che dovrebbe scendere, e non di poco.
I libri didattici, “di testo”, sono particolari, ed a quelle guide non si può rinunciare. Ma tutti noi abbiamo esperienza di montagne di carta che solo in parte vengono utilizzate, così come di nuove edizioni dove cambia più la numerazione degli esercizi che non la sostanza. Del resto, alla mia ignoranza sfugge la necessità dell’aggiornamento annuale relativo a molti insegnamenti: dalla matematica più spicciola alle lingue morte. Se si utilizzasse in modo ragionevole l’interazione fra testi sacri ed internet i costi, per le famiglie e per lo Stato, si ridurrebbero drasticamente, lasciando loro strumenti riutilizzabili. Il paradosso è che gli studenti sono sollecitati a portarsi sul groppone chili di roba che non serve, mentre fanno le ricerche sul web: scoliosi e inabilità all’uso della biblioteca. Un capolavoro.
Ora interviene l’antitrust (ben svegliati, le cose stanno come quando andavate a scuola voi), mentre il ministro Fioroni si ripromette d’intervenire, l’anno prossimo, con un inutile ed anacronistico “tetto di spesa”. Fra un anno staremo come stiamo, dove il dato drammatico non è che si spendano troppi soldi, ma che lo si faccia come peggio non si potrebbe, accumulando carta per seppellire la cultura.

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