Ci ho messo del tempo a cercare di digerire il Claudio Magris che, per il Corriere della Sera, scrive da e su Cuba. Non ci sono riuscito. Ma leggono, certi che scrivono? Ascoltano, quelli che parlano? Sì, è vero, sostiene Magris, Cuba non è certo una democrazia. Ma volete mettere con il passato? E qui s’apre la diga delle banalità, delle sciocchezze, storiche e morali.
E’ vero, Fidel Castro non è proprio un guantato servitore della libertà, ma a Cuba ci sono le scuole, i ragazzi non sono analfabeti. Anche nella Germania di Hitler c’erano le scuole e non c’era analfabetismo. E sarebbe niente, se non fosse che le scuole erano diffuse e buone, a Cuba, prima che arrivasse Castro, prima della rivoluzione. La grande campagna contro l’analfabetismo fu condotta prima che il barbuto in divisa imponesse la sua legge dispotica. Con un ulteriore particolare: nella Cuba di Batista c’erano riviste di letteratura, c’era la sopravvivenza d’idee diverse. Sì, proprio nella Cuba di Batista. Magris potrebbe saperlo, se solo leggesse un gigante della letteratura cubana: Reinaldo Arenas. Con Castro no, con Castro si può saper leggere, ma non si può leggere.
Ci sono gli ospedali, biascica il nostro letterato senza cuore, senza occhi e senza letture. Certo, la sanità cubana era un esempio, per l’America Latina, già prima di Castro, e non è un caso che fra i fuggiti vi siano stati molti medici, che poi hanno fatto fortuna altrove. Ma, se approfondisse gli studi, Magris potrebbe sapere che a Cuba ci sono anche i dottor Mengele, capaci di esperimenti genetici sui detenuti nei campi di concentramento. Incredibile? No, documentato. Provi a prendere in mano quel che ha scritto Armando Valladares (ora anche in italiano, grazie a Spirali: “Contro ogni speranza”). Lo tenga sul comodino, e vediamo se riesce a dormire. Chissà che non gli apra gli occhi cisposi il sapere delle persecuzioni, delle torture, della fame, delle botte, della violenza contro donne e bambini. Le carceri fasciste erano un paradiso di civiltà e tolleranza, a confronto. I nostri, eroici, combattenti antifascisti potevano scrivere, se detenuti od al confino. Ha mai sentito parlare dei “Quaderni dal carcere”? A Cuba non si può, a Cuba è proibito anche solo avere carta e penna. Certi versi, lo sappia Magris, anche se fatica a capirlo, sono stati scritti con il sangue. S’informi, almeno imparerà una cosa: a Cuba si può morire di gelo. Rimarrà sorpreso, forse, nell’apprendere che uno degli artefici di questo gulag tropicale è il suo amato Castro. Sia nella versione Fidel che in quella Raúl.
Ah, ma con Batista c’erano i mafiosi! E qui Magris deve aver pensato di battere se stesso, in quanto a ficcanza d’argomenti e conclusività degli stessi. Sì, c’erano anche le puttane, sebbene fossero prevalentemente francesi (incredibile, vero?). Adesso Raúl ha riaperto le camere d’albergo ai giovani che si vendono, i quali si vendevano anche con Fidel. Ma torniamo ai mafiosi. Gran brutta gente, non c’è che dire. Ma io, siciliano, preferisco diecimila volte Capone a Stalin, Riina a Franco, Luciano a Castro. I criminali si possono perseguire, contro i criminali può farsi valere la legge, e quando la legge si piega ai criminali si può sempre appellarsi a quanti subiscono gli effetti esterni del crimine. Ma quando è il crimine a farsi Stato esiste una sola cosa da farsi: abbatterlo.
Fidel Castro è un mito. Lui, criminale, assassino fattosi dittatore, è riuscito a calcare la scena mondiale facendo innamorare di sé tutti i fessi del mondo, fatta eccezione per i cubani. Naturalmente. Creperà nel suo letto, come non merita. Ma a salvare Raúl ed i suoi complici, a proteggere chi ha affamato Cuba di cibo, cultura e libertà, non saranno sufficienti quattro letterati senza letture, quattro ospiti non paganti del National, quattro venduti che parlano di festival della letteratura in un Paese dove i letterati sono chiusi in carcere o costretti all’esilio. Non esiste letteratura dove non esiste libertà. E dato che pagine stupende sono state scritte da uomini prigionieri, ciò deve intendersi nel senso che non esiste letteratura se non per mano d’uomini che sono interiormente liberi. Il che impedisce a qualche occidentale, viziato ed ignorante, di chiamare “colleghi” i cubani che hanno pagato con la vita e sulla carne il non avere disertato la cultura.