Al netto delle furbizie politiche e dei giochi di sponda, del dire a nuora perché suocera intenda, talché ti mandano entrambe a quel paese, non ho mai capito perché ai leghisti stia sul gozzo l’inno di Mameli. Bossi ha ragione, non lo conosce quasi nessuno, mentre credo che sia sconsideratamente ottimista immaginare che gli italiani cantino con cognizione di testo e causa il “Va pensiero” (ove si pone il problema di taluni extracomunitari senza terra propria). Il nostro inno, forse, meriterebbe almeno un po’ d’attenzione.
Posto che sia Goffredo Mameli che Michele Novaro (autore della musica, non eccelsa) erano genovesi, vale la pena ricordare che il primo morì, eroicamente e giovanissimo, il 7 luglio 1849, difendendo la Repubblica Romana, che non era il prototipo del centralismo, ma l’aspirazione alla liberazione dallo straniero e dal governo papalino. E’ vero che s’accenna all’“elmo di Scipio”, essendo di Scipione l’Africano il cinto cranio. Detto così, però, non perché immigrato clandestinamente, bensì perché aveva conquistato quelle terre. Il bello arriva dopo: “Dall’Alpe a Sicilia, dovunque è Legnano”, riferendosi, il verso, alla vittoria della Lega Lombarda, esempio di coalizione, forza ed orgoglio più che locali. Meriterebbe essere spiegato, non cancellato.
“Ogn’un di Ferruccio ha il core e la mano”, si riferisce alla difesa di Firenze, e sarebbe bene saperlo, almeno affinché non resti noto solo l’italiano mercenario che lo ammazzò: Maramaldo (“vile, tu uccidi un uomo morto”). “I bimbi d’Italia si chiaman Balilla”, non fu una preveggente immagine della ridicola vestizione infantile d’epoca fascista, ma il ricordo della rivolta di Genova, risalente al 1746. C’è tanto bel nord, nel nostro inno, se solo lo si conoscesse e se i ministri non lo cantassero biascicando esclusivamente le prime strofe ed avendo preso l’usanza, barbara e da stadio, di far l’urletto finale e sollevare il braccio. Non che Verdi sia da meno, anzi, ma avere un inno che canta lo stato d’animo dei cacciati, anziché riassumere le tappe della liberazione dallo straniero e dell’unificazione, ha un che di malaugurante. Piuttosto, visto anche il governo della spesa pubblica, sarebbe suggestivo il “Libiam nei lieti calici”, della Traviata.
L’inno di Mameli non è lungo. Studiando e mandando a memoria una strofa al giorno si può, anche prendendosi delle pause di riflessione, colmare l’ignoranza entro la fine d’agosto. Vado.