L’idea di obbligare i neo padri a non lavorare per quattro giorni, subito dopo il parto, è una stupidaggine a testata multipla, nel senso che contiene numerosi errori, capaci di arrecare danni in più di una direzione. Intanto, e per non cambiare, si riferisce solo ai lavoratori dipendenti, perché per tutti gli altri, dai professionisti ai commercianti, dalle piccole partite iva agli artigiani, il lavoro è reddito, il tempo lavorato è quantità di reddito, e non solo non si ferma il padre, ma tende a fermarsi il meno possibile anche la madre.
Siamo il Paese, fra gli europei, in cui lavora meno gente e per meno tempo. Siccome chi lavora in proprio non ha regole e non ha orari, è segno che i lavoratori dipendenti stanno sotto la media. Siamo il Paese in cui lavorano troppo poche donne e tutti noi per troppo pochi anni. Il nostro problema è recuperare produttività e competitività, lavorando di più, non trovando nuove occasioni per non farlo. E, del resto, la cosa è così solarmente evidente che anche una signora ministro, poco dopo avere dato alla luce un bimbo, torna al lavoro. La stessa cosa fa la diva, come l’avvocatessa o la dottoressa. E non credo vogliano del male alla loro prole. Ma tenere obbligatoriamente a casa i padri, si dice, è un modo per rendere pari i sessi e favorire la famiglia. Balle.
Se c’è un momento in cui i padri sono inutili, è immediatamente dopo il parto. Le leggi possono dire quel che vogliono, ma le puerpere stanno in clinica o in ospedale, il pargolo nella sala neonati, e il padre, una volta effettuata la registrazione all’anagrafe, può stare dove gli pare: non si deve rimettere, non allatta, il suo battito cardiaco non è mai stato udito dall’interessato. Esattamente in quel momento, secondo una legge che vogliono approvare, a destra e a sinistra, non dovrebbe andare in ufficio. Che, poi, la saggezza popolare vorrebbe l’esatto contrario: hai messo su famiglia, adesso ti tocca lavorare di più.
La parità fra i sessi non c’entra nulla. I padri di oggi, se sono persone dotate di coscienza e civiltà, fanno già tutto quello che i nostri padri non facevano: dal pannolino alla notte con il biberon. E’ difficile credere che una legge obbligante al riposo sposterà di un dito chi, invece, ha attitudini diverse e se ne frega. Andrà a giocare a tennis, pagato dalla spesa pubblica e facendo marameo ai beoti della parità.
In quanto agli aiuti alla famiglia, chi crede che possano essercene in quei quattro giorni non sa di che parla. Servono nei successivi quindici anni, quando un bimbo svezzato si deve accompagnarlo a scuola, poi al nuoto, poi dall’amico, il tutto ai capi opposti della città. Se si vuole essere utili alla famiglia, allora, non servono quei giorni di non lavoro, ma tempo pieno, attività sportive organizzate, tempo libero non a esclusivo carico dei genitori. Lo scopo non è quello di tenere a casa i padri, ma di portare al lavoro le madri.
La nostra cultura nazionale ha un pregio, le mamme, e un difetto, il mammismo. La parità di cui questi parlamentari parlano consiste nell’allargare il difetto ad ambo i sessi. Poi, per forza che chiamano i carabinieri, per spiccicare un adolescente dalla play station.