Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha deciso di onorare il giorno della memoria, dedicato alle vittime del terrorismo, seminando confusione e amnesia. Parlando di Ustica è riuscito, dalla più alta istituzione, ad avvalorare l’idea di uno Stato marcio e deviato, complice degli assassini. E parlando dei terroristi ha fatto cenno al “fanatismo politico e ideologico”, cancellando la realtà della guerra fredda e, quindi, il ruolo dei servi segreti dei Paesi comunisti. Spiace doverlo osservare, ma questa è esattamente la versione luogocomunista che ha, fin qui, offeso la memoria.
L’abbattimento del volo Itavia, che, il 27 giugno 1980, scomparve all’altezza dell’isola di Ustica, poco prima di atterrare a Palermo, non ha nulla a che vedere con il terrorismo. Si può ritenere (mi riferisco alle perizie effettuate) che sia stato colpito da un missile o che sia esplosa una bomba all’interno, o si può concludere di non saperne ancora niente, ma non c’entra il terrorismo, inteso come lotta armata di fazioni politiche. Anzi, Napolitano dovrebbe ricordare che la pista terrorista fu un depistaggio. Una (falsa) telefonata del Nar, Nuclei Armati Rivoluzionari, formazione d’estrema destra, rivendicò l’attentato, ma assumendo che a far scoppiare la bomba fosse uno vivo e vegeto, nonché all’estero. Napolitano sa benissimo, naturalmente, che pochi giorni dopo, l’8 agosto 1980, una bomba distrusse la stazione di Bologna, facendo una strage, e che anche quella è stata messa proprio sul conto dei Nar, con la condanna di chi li guidava, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. Salvo il fatto che i due hanno sempre negato la prima e la seconda cosa, e lo stesso Napolitano, giustamente, avanza qualche dubbio sulla rispondenza al vero di quella sentenza definitiva. Insomma, posto che i Nar erano criminali e che Fioravanti e Mambro meritavano la galera che hanno scontato, si deve ricordare, proprio per onorare la memoria, che a loro si attribuirono, o si tentò di attribuire, anche cose cui erano estranei. E fu, lo ripeto, depistaggio. Altro che memoria.
Ustica, del resto, viene considerata una “strage” solo nel 1989, allo scopo di farla rientrare nella competenza dell’apposita commissione parlamentare, che non approdò a niente. Come la giustizia, del resto, che ha dedicato a quell’evento la più grossa, costosa e copiosa inchiesta mai fatta, per poi concludersi nel nulla (nell’agosto del 1999, diciannove anni dopo). Per forza, si dirà, e lo ha detto Napolitano, perché ci furono “intrighi internazionali, che non possiamo oggi non richiamare insieme con opacità di comportamenti da parte di corpi dello Stato”. Ora, a parte il fatto che se il Presidente della Repubblica dice una cosa simile dovrebbe a ruota aggiungere nomi, cognomi e circostanze, altrimenti si limita a fare eco ad una vasta ed imprecisa pubblicistica, lo stesso Presidente dovrebbe sapere che una volta chiusa l’inchiesta alcuni nostri militari, dell’aeronautica, sono stati processati per alto tradimento e altri reati. La sentenza di primo grado (30 aprile 2004) ne assolse alcuni e considerò prescritti i reati minori. L’appello si chiuse il 3 novembre 2005, con l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”. Contro tale sentenza fece ricorso la procura, cui si unì la presidenza del Consiglio, assistita dall’avvocatura generale dello Stato. A tutti rispose la cassazione, il 10 gennaio 2007: ricorsi inammissibili e sentenza confermata.
Posto che ogni volta che noi critichiamo la giustizia ci rispondono che le sentenze non si commentano e si rispettano (il che non è vero, perché si rispettano ma si può ben dissentire), spero Napolitano sappia indicare, con precisione, in cosa quelle sentenze sono l’effetto di uno Stato complice degli assassini.
Già, ma cosa successe a Ustica? A. non lo so. B. ci vorrebbe un libro, non qualche riga. C’erano aerei libici in volo, c’erano gli americani che sorvegliavano e i francesi che si esercitavano. Ma non si sono trovati resti di un missile, mentre, secondo due periti, tutto sarebbe compatibile con una bomba. Che, comunque, non era politica. Non lo so, ma il terrorismo, lo ripeto per la terza volta, c’entra solo come depistaggio.
Il terrorismo, invece, c’era eccome, in Italia. Seminava morti e piegava il Paese. Ma noi non capiremo mai nulla di quello che c’è successo se continuiamo a ripetere la storiella sciocca del fanatismo ideologico. Fossero stati solo dei fanatici, come i brigatisti rossi dei tempi più recenti, sarebbero stati schiacciati in fretta, come vermi quali sono. Invece erano forti, avevano addestramento, soldi, complicità. Non capiremo mai questa storia se non la inseriamo nel proseguimento della guerra civile, che già aveva sconvolto l’Italia a cavallo della fine della seconda guerra mondiale (quindi anche dopo la Liberazione), e nella geografia della guerra fredda.
Può darsi che le mie parole, quelle di un antitotalitario, quindi di un anticomunista, non facciano breccia nella corazza luogocomunista, nel qual caso suggerisco la rilettura di quelle di una comunista, Rossana Rossanda, che seppe riconoscere nelle biografie dei brigatisti e nel loro linguaggio quello della sua famiglia. La sua e quella di Giorgio Napolitano. E se era accorto, prima di lei, un altro grande comunista, persona seria e per bene: Giorgio Amendola. Non a caso fra i primi fautori della fermezza, della risposta dura, indirizzata, giustamente, a cancellare quei familiari dalla circolazione.
Potevo anche distrarmi e dedicarmi ad altro, quest’oggi. Non ne manca l’occasione. Ma la falsificazione storica è la matrice da cui nascono gli incubi, ed è un’offesa alla memoria. Anche oggi rischiamo la violenza. Ho più volte scritto dell’incattivimento che cresce. Ha ragione il Presidente della Repubblica: mai abbassare la guardia. Ma, appunto, per non abbassarla, bisogna saper di cosa si parla e coltivare il ricordo lucido, altrimenti si tiene alta la guardia e gli occhi chiusi. Che non serve a niente.