Idee e memoria

Ranieri ed i dilemmi della sinistra

Di una sinistra che sia sinistra di governo si sente il bisogno da sempre, nella Repubblica italiana, e non dalle scorse elezioni regionali. Quelle hanno segnalato la probabilità che la sinistra torni al governo, e non è la stessa cosa.

Sulle caratteristiche, le sfide, i problemi di una sinistra di governo riflette Umberto Ranieri, in un bel libro (“La sinistra ed i suoi dilemmi”, Marsilio) che offre spunti interessanti. Soffermo l’attenzione su tre aspetti.

Il primo è relativo alla storia comunista di gran parte della sinistra italiana (e non sere a niente prendere per le chiappe chi lo ricorda, giacché i comunisti, in Italia, sono nostri contemporanei, mica ominidi preistorici). Ranieri stesso viene dalla militanza comunista, ma questo non gli impedisce di dire parole chiare e forti che suonano condanna per quel sistema di valori che ha portato, ovunque abbia preso forma statuale, alla soppressione della libertà, politica ed economica. Ed ha particolarmente ragione nello scrivere che quella partita va chiusa una volta per tutte, senza cercare di sfuggire al problema. Giusto, anche perché, altrimenti, c’imbatteremo sempre in analisi come quelle fatte nell’ultimo libro di Fassino, che finiscono con il condannare anche Enrico Berlinguer senza, però, mettere in discussione l’esperienza personale di chi scrive.

Però non credo che per saldare i conti con il passato si debba, come Ranieri sostiene, riconoscere la migliore natura della socialdemocrazia. O, meglio, quello è solo un passaggio, però inutile se non si prende atto che anche quell’esperienza è terminata.

A sinistra, di tanto in tanto, si annuncia lo scandalo e si pronuncia il nome di Bettino Craxi. Gli si riconosce ragione su molti e decisivi temi, dalla politica sociale a quella economica, fin alla politica estera. Ma sarebbe errato trarre da quest’atto di contrizione una rivalutazione del socialismo, perché, a dirla tutta, il socialismo italiano aveva esaurito i suoi temi e la sua funzione ben prima che Craxi ne divenisse il leader. Quest’ultimo fu capace di abbandonare la tradizione e svolgere il diverso tema della modernizzazione. Fare i conti con il craxismo, insomma, non è fare i conti con il socialismo, perché questi ultimi possono essere comodamente lasciati agli storici.

Ciò che la sinistra, d’oggi, deve avere ben chiaro è che altri sono i filoni di riformismo dove introdurre le radici, senza cercare di ravvivare un defunto dna socialista.

La seconda questione è legata all’esperienza diretta dei contemporanei, Ranieri compreso. Lui ci va vicino, poi, però, divaga, sfugge, scantona. Allora, meglio dirselo con chiarezza: inutile fare i conti con il 1917 se si ha paura di farli con il 1992; inutile accanirsi sui padri, quando si è figli codardi. Ranieri ha parole di condanna per il clima ed i risultati del colpo giudiziario che, nel biennio 1992-1994, azzerò i partiti politici che avevano riscosso e riscuotevano la maggioranza dei consensi elettorali. Bene, ma si deve andare oltre.

Posto che per ladri ed arricchiti non c’è da far altro che condannarli, in quel biennio si mise sul conto di tanti militanti politici il peso del finanziamento dei loro partiti. Ebbene, due cose Ranieri ed i riformisti di oggi devono avere il coraggio di dire: a. che il loro partito di allora era finanziato illecitamente più (dal punto di vista quantitativo) degli altri, benché attraverso canali diversi (ed a mio avviso di gran lunga peggiori); b. che l’attacco giudiziario colpì prevalentemente gli altri, intanto perché contro gli altri era diretto e, poi, perché i comunisti mostrarono una solidità e solidarietà interna ad altri sconosciuta. Da questi fatti molte conseguenze derivano, ma, intanto, questi sono i fatti.

Terzo, infine. Scritto prima della vittoriosa campagna delle regionali, il libro di Ranieri ancora contiene molti dubbi sull’opportunità di un’alleanza fra la sinistra riformista e quella radicale, per comodità identificata con Rifondazione Comunista. Anche qui Ranieri ha ragione, ma tenga conto di due importanti elementi. Ai fini dell’affidabilità democratica, credo conti assai di più affronare la seconda questione di cui ho appena detto, che non tenere fuori dalla coalizione un Bertinotti, per molti versi assai più affidabile di certi forsennati interni al corpaccione della sinistra. E, poi, è vero che tra le idee di Rifondazione vi sono cose inaccettabili, come la patrimoniale, ma conta assai di più la politica estera, e su questa ho l’impressione che le cose meno potabili stiano altrove.

In fondo, penso che Ranieri condivida la preoccupazione per un certo pacifismo, una certa idea dell’Europa allineata all’asse franco-tedesco e disallineata dal laburismo inglese, il cui seme viene gettato più da quanti si dicono appartenenti al centro che non all’estrema. Conta, e nuoce, di più il fatto che sulla partita irachena la sinistra arrivi sempre in costante ritardo (D’Alema disse che la prima guerra era giusta, dopo aver marciato verso il Papa per avversarla; Fassino ricorda che la seconda ha propiziato un certo grado di libertà e democrazia, dopo averla condannata), piuttosto che un antiglobalismo parolaio ed arcobalenato.

A me piacerebbe una sinistra che parta dalle posizioni di Ranieri, nei confronti della quale esercitare un ruolo di critica (come sto facendo) per propiziarne una ulteriore evoluzione. Purtroppo la sinistra fatica ancora a raggiungerle, le idee di Ranieri.

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