Idee e memoria

Salvi, Villone e la questione morale

Fa un certo, e positivo, effetto leggere, prodotti dalla penna altrui, riflessioni e concetti che si aveva l’impressione di ripetere in solitario. E fa ancora più effetto, ed ancor più positivo, leggerli in pagine vergate da uomini della sinistra, laddove a me è capitato e capita di dire le stesse cose e sentirmi rimbrottare da chi vuol fare (male) gli interessi della sinistra. E’ con piacere, quindi, che invito tutti a leggere il bel libro di Cesare Salvi e Massimo Villone (“Il costo della democrazia”, Mondadori). Un libro dedicato all’amministrazione, alla politica, ai suoi costi naturali ed a quelli eccessivi. Un libro che si conclude con proposte concrete, ciascuna delle quali merita d’essere discussa. Ma non è quello che farò adesso.

Qui m’interessa l’analisi che i due autori fanno per spiegare come si sia potuti giungere alla situazione attuale. “Siamo ancora in attesa ? scrivono ? di uno storico che spieghi che cosa è successo in Italia tra il 1992 e il 1994, la legislatura più breve ma anche più sconvolgente della storia repubblicana. Bisogna tornare a quegli anni, agli anni di Tangentopoli e di Mani Pulite, per comprendere cause ed affetti del modo nuovo nel quale si pone oggi l’eterna questione del rapporto fra etica e politica”. Non so quante volte ho scritto questa stessa cosa. E non basta, perché subito dopo si ricorda, correttamente, che alle elezioni politiche del 1992 il pentapartito vinse. Che emergevano fenomeni di protesta, come la Lega, che dava effetti il lavorio di Cossiga, ma la maggioranza politica sembrava dovesse reggere ancora a lungo. E poco oltre arriva l’affondo, quando si parla dell’idea “che forze più o meno occulte e legami più o meno chiari tra la magistratura e un sistema di potere, non solo politico, avessero concorso a provocare o accelerare la caduta del vecchio sistema politico. Quel percorso di chiarezza, di verità, di autoriforma che ad esempio Gerardo Chiaromonte invocava non fu compiuto. Ne paghiamo ancora le conseguenze”. Verissimo, e la citazione di Chiaromonte non è certo casuale, visto che il vecchio dirigente comunista aveva messo in guardia il vertice socialista sull’uso politico che della giustizia poteva farsi, proprio mentre erano gli uomini del garofano ad aprire ai comunisti le porte dell’internazionale socialista.

Questo è un pezzo della storia d’Italia che non possiamo in nessun modo archiviare usando le versioni di comodo, ridicolmente deboli, quando non del tutto bugiarde, che fin qui sono state date. E sono ancora Salvi e Villone ad indicare un problema aperto, un elemento che non può essere trascurato. Giudicando errato, i due autori (ed anche io), pensare di risolvere i problemi politici lavorando attorno alla legge elettorale, essi ricordano che “per la verità non era tanto la legge elettorale (proporzionale n.d.r.) ad avere impedito in Italia l’alternanza, quanto i collegamenti (del Pci n.d.r.) con l’Unione Sovietica e con l’Est europeo, mai definitivamente sciolti nell’illusione della riformabilità dall’interno di quei sistemi (vorrà pure dire qualcosa il fatto che la vita del Pci inizia dopo la Rivoluzione d’Ottobre e finisce con il crollo dell’Unione Sovietica)”. Sottoscrivo, e segnalo l’enorme distanza fra queste chiare parole e quelle reticenti e mendaci di Giorgio Napolitano, che né l’età né la sicurezza della personale posizione aiutano nel grave compito di giudicare se stesso e guardare in faccia la realtà.

Invece si commise l’errore di puntare tutto sulla riforma elettorale, facendo nascere il mattarellum e sottostando (tesi degli autori, che ancora una volta condivido) alle pressioni del Quirinale. Pressioni illegittime, a cura di Oscar Luigi Scalfaro, il peggiore Presidente della storia repubblicana.

L’avere ceduto alla tentazione di portare a casa il risultato, di giungere al governo del Paese, senza passare né attraverso una riflessione autocritica della propria storia e delle proprie idee, né attraverso una vittoria elettorale, ha nuociuto alla sinistra, e portato “a sinistra, anche una caduta della sua cultura politica”.

Salvi e Villone, naturalmente, non pensano affatto che il biennio ’92-’94 sia stato il regno del complotto, ed auguro loro di non dovere avere a che fare con le scemenze alle quali rispondo da più di dieci anni. Sanno e ribadiscono che il problema morale era un problema serio, che fenomeni degenerativi avevano attecchito nel corpo della politica. Anzi, hanno scritto il libro proprio per mettere in guardia dal considerare risolti quei problemi, ancora presenti oggi. Ma per l’allora essi scrivono “forse nessuno era del tutto innocente, ma certo qualcuno era più colpevole di altri”. Ed anche questo è vero, sebbene stabilire chi fosse il più colpevole, o, meglio, chiarire perché, spinto da quali necessità e quali forze, retto da quali interessi, coperto da quali omertà, il sistema abbia preso una via degenerativa, stabilire questo è appunto il compito cui nessuno s’è dedicato seriamente. E non lo si è fato perché è troppo comodo, per molti, per troppi, far finta di credere alle baggianate che si sono scritte. Noi no, noi non ci stiamo. Per questo leggo con piacere il libro di Salvi e Villone, e vi colgo l’inizio di un lavoro responsabile, da farsi nell’interesse dell’Italia.

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