Nessun’idea poteva essere peggiore di quella che ha voluto brandire il crocefisso quale alabarda ad identificazione e difesa della civiltà, e nessun’azione potrà essere più controproducente di quella che vuol sollevare quel simbolo quale baluardo avverso l’islam. Ci si avventura su questo terreno nell’inconsapevolezza di star giuocando con il fuoco.
Nessuno ha mai negato l’opportunità di diffondere la conoscenza religiosa nelle scuole italiane, pubbliche e private. La religione, e quella cattolica in particolare, hanno un peso così rilevante nella nostra cultura che sarebbe pura follia, puro integralismo dell’ignoranza, negarne l’importanza ed il ruolo. Il guaio, semmai, è che nella cattolica Italia vivono milioni di presunti fedeli che non sanno a cosa dovrebbero esser fedeli: milioni di bambini vengono inconsapevolmente avviati ai sacramenti senza che né loro né le loro famiglie abbiano un’idea, ancorché approssimativa, di quel che stanno facendo; le uniche certezze si ripongono nella festa e nei regali, nel vestitino bello, nell’essere al centro di un’attenzione che assai male si concilia con la fede ed assai più ricorda riti tribali e superstizioni pagane.
Nelle nostre scuole di religione se ne frequenta poca, non troppa, ed in queste condizioni il crocefisso diviene il banale simbolo del nulla. Non sono credente, non ho ricevuto l’agostiniano dono della fede, ma se lo fossi, e pur non essendolo, chiederei, e chiedo, maggiore rispetto per la figura del Cristo, non lo vorrei, e non lo voglio, degradato ad icona dell’ovvio, dello scontato, del banale.
Ma se quel crocefisso viene appeso per ricordare quali sono le origini della “nostra civiltà”, se gli si da un valore storico, individuando una presunta ed ininterrotta continuità fra il messaggio di Gesù, l’opera della chiesa e i valori del nostro mondo, bé, allora lo stacco e lo ripongo, con rispetto, in un cassetto.
Meraviglia che possa pensarla diversamente uno come Giordano Bruno Guerri, che ne fa una questione di distinzione dall’islam. Ma cos’è che rende radicalmente differente l’integralismo islamico dall’integralismo cristiano? Vi è forse qualche appiglio di differenza nelle scritture? No, la grande differenza sta nel fatto che Paolo di Tarso, e la chiesa che da lui emana (da lui), dovettero fare i conti con l’Impero Romano: date a Cesare ? non troverete nulla di simile nel Corano, ove, al più, si dava a Maometto. Roma aveva Stato, leggi, forza, temporalità, a nessuno poteva venire in mente di far della legge biblica una legge civile e penale. Che facciamo, allora, in ossequio alle nostre origini, affiggiamo anche il ritratto di Cesare?
E se cristiane sono le nostre origini, quali mai sono le origini cristiane? Dove ed a chi predicò Gesù? Non vi è forse l’Antico Testamento ad unire indissolubilmente le fonti ebraiche a quelle cristiane. Non fu forse un problema di lettura ed interpretazione a fare del Cristo un sovvertitore (non un rinnegatore, l’antisemitismo debutta con Paolo, non con Cristo) della sua origine? E che facciamo, attacchiamo anche la stella di David?
Tutto questo per dire che identificare il cristianesimo e l’Evangelo con la traduzione storica, quindi reale, concreta, terrestre, di quel messaggio significa fare un grave torto alla religione ed imporre un grave limite alla cultura. Se il crocefisso rappresenta le parole del predicatore ed il suo sacrificio, si può, al massimo, avere idee diverse circa la sua natura divina, ma nessuna persona civile e colta non potrà non inchinarsi a quel simbolo. Ma se il crocefisso rappresenta la storia delle idee che da quell’iniziale predicazione presero vita, in qualche caso negandola, allora come potrò salire in cattedra insegnando agli studenti qualche cosa su Galileo senza ricordare che quella storia gli fu nemica? Ed aveva ragione Galileo, come, con appena duecento anni di ritardo riconobbe Giovanni Paolo II (e lo riconobbe, però, ponendo nuovi vincoli etici alla ricerca scientifica, ovvero commettendo il medesimo errore che voleva condannare).
Ma l’ignoranza preferisce ignorare la complessità, si nutre di titoli e di slogan. Come quando sentiamo citare il crociano “non possiamo non dirci cristiani”. Si dovrebbe almeno leggerlo, quel breve saggio del 1942, prima di citarlo. Non è un caso che non lo citino mai le gerarchie cattoliche, e cristiane in generale, le quali, avvedutamente, non credo gradiscano il porre in secondo piano la divinità della rivelazione, né l’accostamento all’hegeliana “religione assoluta”.
Ferdinando Adornato stia attento a far paralleli fra le dichiarazioni costituzionali di cattolicità (peraltro superate dalla revisione concordataria firmata da Bettino Craxi, cui si opponeva, da una parte, la laicità estrema, la mia, e, dall’altra, il cattolicesimo di Arturo Carlo Jemolo, che contava sul decadere del concordato Casaroli-Mussolini come foglia morta) e i riferimenti alla divinità della costituzione americana: vabbe’ che la storia è divenuta disciplina trascurata, ma accostare quella dell’Italia e della Spagna a quella di un paese fondato da profughi delle persecuzioni religiose è un tantinello ardito: va da sé che i secondi avevano sviluppato diversi anticorpi contro l’uniformità religiosa. Adornato sembra non comprendere che i richiami alla cristianità, dalle nostre parti, funzionano all’incontrario: non evocano un insieme di valori e di principi, ma rammentano il quieto vivere di una religiosità ignara ed ignorante di se stessa, fatta di vestitini bianchi e priva di passione e sofferenza.
E che ci si fa, con roba simile? ci si oppone all’islam? Incredibile: se dici che la civiltà occidentale, fatta di tolleranza e di rigidissima separazione ed indipendenza fra la religione e la politica, fra le chiese e lo Stato, è superiore ai regimi teocratici, vengono a darti lezioni di relativismo culturale; se, invece, brandisci il crocefisso contro il feroce Saladino, sembra che si sia fatto un bel passo in avanti. Ah, se taluni provassero a pensare, prima di parlare?…