Criticare le miserie della politica è così semplice e consueto da essere divenuto stucchevole. Aggiungiamo spesso le nostre parole, ma con un senso più di desolazione che di denuncia. Guai, però, a credere che le colpe della politica assolvano il resto del Paese, quella che un tempo si chiamava “società civile”, noi tutti. Anche solo a frugare nella cronaca delle ultime ore si resta sgomenti per come l’Italia possa crollarci attorno senza che alcuna reazione si manifesti, senza che quei disastri siano considerati come un danno collettivo, otre che un fastidio o una tragedia privata.
A Pompei crolla la “Domus dei Gladiatori”. La reazione istituzionale è banalmente scontata: mancano i fondi. Non si ha neanche l’ironia amara di ricordare che quel pezzo di storia, ora sbriciolata, si trovava in “via dell’abbondanza”. Evitiamo, però, di prenderci in giro: il problema non sono i fondi, ma una gestione dissennata e scandalosa. Pompei dovrebbe essere una ricchezza, economica oltre che culturale. Attorno a quel gioiello dovrebbe ruotare un’intera filiera dedicata a turisti e studiosi, approfittando anche della vicinanza con una delle coste più belle del mondo. Invece domina l’abbandono, la difficoltà d’arrivarci, le complicazioni per entrarci, le limitazioni nel circolare. Il tutto in una continuità d’abbandono secolare, senza che s’alzi il grido di rabbia e dolore di chi di questa ricchezza potrebbe vivere, anziché campare alle spalle del suo disfacimento.
Quel crollo è l’apoteosi del masochismo nazionale, alimentato dal menefreghismo popolare. Ora pagheremo per rimediare al non essere stati capaci di guadagnare. Quando senti le autorità competenti dire “mancano i fondi” ti vengono i brividi, perché capisci che non hanno idee. Forse neanche testa.
Intanto il Veneto va sott’acqua e lo stato d’emergenza è stato dichiarato anche altrove. Le calamità naturali, del resto, sono fatalità. Ma quale calamità? Ha piovuto. Tanto, certamente, in modo intenso, sicuro, ma ha piovuto, mica è venuto giù il mondo, mica è passato un uragano. Se ora si devono mandare le idrovore, per le quali sono già stati stanziati 20 milioni, è perché città e insediamenti sono cresciuti senza alcun rispetto per il territorio e per il banale buon senso. Ciascuno ha badato a sé e nessuno a ciò che è collettivo, sicché si resta sommersi più dal proprio egoismo insulso che dall’acqua che cade copiosa.
Si può arrivare fino alle cose (apparentemente) da niente: Livorno non offre molto ai turisti, che pur ci arrivano grazie al porto, ma riserva l’orrore della casa di Modigliani, livornese noto in tutto il mondo, chiusa ai visitatori. Quella di Mascagni è stata demolita, mentre il museo a lui dedicato è sprangato. Resta il “ponce”, che è buonissimo, ma conferma che riusciamo a vendere quello da cui si guadagna poco e a sprecare ciò che ci renderebbe ricchi.
Si potrebbe continuare a lungo, saltabeccando dall’orrido al ridicolo, ma il filo conduttore è quello di un Paese con scarso rispetto di sé stesso, in cui tutti sono pronti a chiedere e pochi a dare, tutti ad accusare e nessuno ad assumersi qualche responsabilità. Con la sfiducia che genera mostri, tanto che siamo divenuti il Paese dei mille permessi richiesti e dei diecimila sotterfugi per aggirarli, quello che manda i propri turisti a visitare la falsa Venezia di Las Vegas mentre li costringe ad un safari costoso per andare ad Agrigento. Quello che è riuscito a farsi fregare anche il valore aggiunto del Colosseo, visto che i siti per le prenotazioni di viaggi e alberghi hanno sede all’estero, e qui finiscono le percentuali dovute all’intermediazione.
Colpa della politica? Certo. Ma nel senso che somiglia troppo al Paese che governa, anzi, che non governa.