Idee e memoria

Scienza e morale

Quella dei raeliani sembra proprio essere una bufala, ed è bene che sia così, vista la manica di pazzi vestiti da maggiordomi spaziali che s’aggirano da quelle parti.

Noi, poi, abbiamo anche gli strambi nostrani, medici che più che a scienziati pazzi somigliano a bonari contaballe: da quelli che clonano sceicchi a quelli che curano il cancro con le vitamine. Non credo, però, sia il caso di liquidare tutto con un sorriso, perché, a ben vedere, questi fenomeni, alcuni dei quali da baraccone, pongono il problema dei limiti morali all’evoluzione scientifica.

Mi preoccupa anche la condizione della cultura laica, che, cresciuta nella difesa del galileismo ed impegnata a respingere ogni intromissione religiosa nella ricerca scientifica sembra essere in affanno quando è proprio la scienza a porre problemi etici e morali. Una cultura, la nostra, che sembra aver paura dell’esistenza stessa dei problemi morali, e che caccia la testa sotto la sabbia, sperando di esorcizzare la realtà, issando la bandiera dell’antidogmatismo, della libertà, della ragione. E, invece, è proprio la ragione a suggerire meno frettolosità e semplicismo.

Intanto vale la pena ricordare che la “religione della scienza” non è meno oscurantista d’altre forme d’asserzione del vero, a prescindere dal dimostrabile. Chi non ha dubbi, chi si ritiene in possesso di una verità che spiega la vita ed il mondo, è un nemico della ragione, che vesta la tonaca nera od il grembiule bianco. Non a caso, del resto, la migliore cultura scientifica è nutrita d’approssimazione, dubbi, verifiche, constatazione dei limiti della conoscenza. Ed è proprio da questo che discendono alcune necessarie riflessioni.

Alla ricerca scientifica non si devono porre limiti, che non siano quelli già previsti da tutti i codici penali del mondo civile. Sappiamo, tanto per citare un esempio orribile, che gran parte delle nostre conoscenze sulla reazione del corpo a condizioni di congelamento derivano dal lavoro svolto dai medici nazisti, che gettavano nell’acqua gelata i bambini ebrei. Non c’è dubbio che quel comportamento va catalogato in un raccoglitore diverso da quello della ricerca scientifica.

Quando decise di chiedere scusa per il trattamento riservato a Galileo Galilei, Giovanni Paolo II ricevette una folta delegazione d’astrofisici e disse loro che ogni loro ricerca era da considerarsi legittima ed opportuna, purché non cercasse di scrutare il momento primo, il tempo zero, perché quella era l’imperscrutabile opera del creatore. Noi, quel momento, non siamo ancora riusciti a vederlo (a parte la tesi, sostenuta autorevolmente, secondo la quale non esiste proprio), ci mancano, ancora, gli strumenti culturali per comprendere quella singolarità, ma Giovanni Paolo II si sbaglia, ed è bene che molti ignorino quel suo precetto. Un precetto, del resto, che mostra quanto poche riflettute siano le scuse porte alla memoria di chi guardò con disincanto il cielo stellato.

No, la ricerca scientifica non può avere limiti o freni morali, deve indagare tutto e studiare ogni possibilità. Né, a dire il vero, per venire al delicato tema della genetica, mi sembra avvincente il dilemma se utilizzare o meno, per la ricerca, gli embrioni congelati. Intanto non è un dilemma dirimente, perché la ricerca può essere fatta anche senza quegli embrioni e, poi, perché la sorte di quegli embrioni è la spazzatura, nel senso che saranno buttati via. Mi sfugge il perché la pattumiera sia una sorte eticamente degna. Diverso è il caso in cui si ritenesse (cosa di cui, al momento, non si sente il bisogno) di creare embrioni al solo fine d’alimentare la ricerca, e la diversità sta nel fatto che siamo ancora sufficientemente ignoranti da non avere la minima idea di quando la vita possa già essere chiamata tale.

Sappiamo, per certo, che il nascituro è un essere umano (ed in tal senso le leggi lo tutelano) già prima della nascita, e sappiamo, per certo, che fin dal primo istante l’embrione contiene tutte le informazioni ed il materiale genetico necessari per condurre alla vita di un essere umano. Non sappiamo, invece, quando l’ammasso cellulare cessa d’essere solo tale. Semplicemente non lo sappiamo.

Per regolare il doloroso fenomeno dell’aborto utilizziamo delle convenzioni: prima di un tale giorno è lecito, perché la vita è solo potenziale; il giorno dopo è illegale, perché si tratta già di un essere. Una convenzione, come quasi sempre sono le norme giuridiche, specie quando regolano materie nelle quali si procede con il lanternino. Ma non è che la necessità di regolare un dolore, allo scopo di limitarlo, non moltiplicarlo, ma non di eliminarlo, sia, poi, di per sé la legittimazione a dire che prima del giorno convenzionale nulla esiste e tutto è lecito. Così procedendo si porterebbe una convenzione, sempre cangiabile, a divenire dogma scientifico. Una follia.

Ma se la ricerca scientifica non deve avere limiti, non altrettanto si può dire delle applicazioni scientifiche: qui i limiti ci vogliono, eccome. Intervenire, per esempio, sul corredo genetico può essere cosa buona e giusta: tanto nella produzione alimentare, quanto nel tentativo di debellare malattie genetiche. Consentire la clonazione d’esseri umani è, invece, una mostruosità. Lo è per le molte implicazioni etiche e, se si vuole, filosofiche (la volontà di potenza porta su strade poco promettenti), ma lo è anche per ragionevoli motivi scientifici: noi non abbiamo la più pallida idea di cosa succede se ci si pone fuori dalla riproduzione sessuale, che ha fin qui garantito la sopravvivenza e l’evoluzione dei viventi, non solo umani.

E’ un atto di fede, per ciò stesso non ragionevole e non laico, affermare che quel che è teoricamente possibile possa poi essere praticamente non devastante. Ed è, questa, una cosa di tale evidenza che se la cultura laica prendesse questa deplorevole deriva otterrebbe solo di consegnare l’etica nelle mani degli intonacati, di ogni possibile confessione. Con l’etica e con la morale si devono fare i conti, se non si vuole delegarle. Come noi non vogliamo.

E qualche problema ce lo troviamo anche nel campo della fecondazione assistita. Intendiamoci, in questo caso si tratta più di problemi sociali che di problemi scientifici. E mi spiego.

Già da moltissimi anni l’uomo interviene, con sempre maggiore successo, nella rimozione degli ostacoli che renderebbero impossibile la procreazione, come l’infertilità e le malformazioni in genere. Procedendo in questa direzione abbiamo imparato a fecondare l’ovulo fuori dalla sua sede naturale, per poi rimettercelo e propiziarne lo sviluppo. Così facendo abbiamo assecondato il desiderio di maternità e paternità di coppie che, altrimenti, non sarebbero riuscite ad avere figli. Solo che, grazie a questa abilità, siamo arrivati al punto di poter prescindere dalla provenienza sia dell’ovulo che dello spermatozoo, restando pur sempre necessario un utero ove piazzare l’embrione. Ancora questo, penso, non crea problemi etici e morali, anche quando una coppia ricorra alla donazione di un terzo (cosa che la legge non consente). Non li crea, benché sia necessario regolare i casi di possibili conflitti, perché l’uomo è un animale sociale, formato in buona (ma non in tutta) parte dall’ambiente che lo circonda, pertanto l’essere portatore di un corredo genetico diverso (in percentuale minima) da quello delle due persone che gli saranno madre e padre non modifica le sue aspettative di vita e di felicità.

Ma come la mettiamo quando a volere un figlio, così concepito, è una coppia gay? Non ho alcuna paura d’incorrere nel politicamente scorretto e, quindi, di sostenere che questo non può essere accettabile. Due adulti consenzienti hanno il diritto di far le scelte che ritengono più opportune, benché non abbiano mai, nessuno di noi ha, il diritto di far tutto quello che vogliono. Ma concepire un bambino allo scopo d’inserirlo in un contesto che preordinatamente si presenta difforme da quello naturale, non può essere riconosciuto come un diritto. Di più: la maternità e la paternità non sono diritti individuali. Nel senso che laddove è negato il diritto alla procreazione averne l’accessibilità diviene una battaglia di libertà, ma la procreazione in sé non è un diritto, non appartiene al campo delle libertà, non vive nel mondo delle opinioni, semmai si trova nel mondo delle necessità, che la natura soddisfa a ben precise e predeterminate condizioni. Da quelle condizioni derivano, poi, una serie notevole di condizionamenti naturali e convenzioni sociali: dall’innamoramento al matrimonio.

Già immagino l’orrore di taluni, a sentir parlare d’ordine naturale. Ma è così, a meno che non si vogliano chiudere gli occhi fino a sconfinare nell’ipocrisia. Riconoscere l’esistenza e la forza di un ordine naturale non significa condannare come innaturali, quindi illeciti o addirittura demoniaci, i comportamenti che si pongono fuori da questo. Anzi, al contrario, e tanto per non girarci attorno, ritengo l’omosessualità parte stessa della natura, quindi della normalità, solo che non sono così ipocrita da far finta di non sapere che gli omosessuali non procreano. Non credo sia una “condanna divina”, bensì una condizione naturale che si lega coerentemente al resto dell’equilibrio procreativo.

Si dirà: ma due omosessuali hanno il diritto di volere un figlio, ed oggi la scienza consente loro di farlo, perché negare questo diritto? Perché non è un diritto. Quella situazione coinvolge pesantemente il diritto di un terzo, il nascituro, che ha il naturale diritto di trovarsi con un padre ed una madre, non con due padri o due madri. E, per quanto sia passata di moda la Vienna di due secoli fa, accidenti, basta un po’ d’esperienza ed un po’ di buon senso per sapere che laddove una delle due figure manca, per disgrazia naturale o per separazione civile, il figlio ne risente.

Fu Platone ad immaginare una società dei liberi accoppiamenti e della prole allevata collettivamente, fuori da contesti familiari. Non è un caso che il grande greco sia ricordato come padre di non poche dottrine autoritarie ed illibertarie.

Non ho, di proposito, citato il caso delle due lesbiche statunitensi che volevano far nascere una bambina che fosse lesbica come loro; o quella dei due non vedenti che si sono rivolti alla scienza genetica per avere un figlio cieco. Non li ho citati perché questi sono casi da manicomio criminale, ed è fuorviante attaccarsi alle situazioni limite. Da una parte e dall’altra.

Se qualcuno, pertanto, vorrà controbattere queste riflessioni dandomi del papista, o solo appellandosi all’assoluta parità di tutte le propensioni sessuali, di tutte le idee e di tutte le fedi, declamando il verbo illiberale del proibito proibire qualsiasi cosa, bé, avrà diritto di farlo, ci mancherebbe, ma non darà alcun contributo serio, culturale e politico, che serva ai laici per non essere solo polverosi residui di un mondo in cui il papa era anche re.

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