Idee e memoria

Stamina senza metodo

Qualche volta l’ignoranza è un vantaggio. Non avendo competenze mediche sono avvantaggiato dal non potere avere opinioni personali e scientifiche sul metodo Stamina. Né credo che la cosa possa discutersi mettendo in evidenza le eventuali mancanze, stranezze o propensioni criminali di chi ne è stato ideatore: se anche Alexander Fleming fosse stato (e non fu) un poco di buono o un profittatore, ciò non toglierebbe alla penicillina la capacità di salvare la vita alle persone. Di converso, però, se anziché la penicillina vendi il brodo di dado, sostenendo che guarisce dalle infezioni, non è che si apre un lungo e accanito dibattito scientifico e amministrativo, ma si passa la pratica al tribunale penale, che provvederà a condannarti quale ciarlatano e delinquente.

La presunta terapia si riferisce a malattie terribili e degenerative, che non riusciamo ancora a debellare. E’ più che ragionevole che le persone colpite, specie se si tratta di genitori i cui piccoli ne sono affetti, siano pronte a qualsiasi cosa, pur di coltivare la speranza. Queste persone (e nonché noi tutti) meritano di non vivere nel dubbio che s’impedisca l’accesso a una possibile guarigione (o anche solo più lento decorso). E meritano, naturalmente, di non essere illuse. Fin qui le modalità con cui s’indagano terapie e farmaci, al fine di stabilire se possono o meno essere offerti a chi ne ha bisogno, hanno stabilito che il metodo Stamina è una porcheria per far soldi. Perché tale responso viene rigettato?

Per diverse ragioni. Intanto perché attorno al nome delle cellule “staminali” s’è montata una cagnare politica, impedendo non la terapia (che non c’è, e quella che c’è è lecita), ma la ricerca su determinati tipologie di quelle cellule (le embrionali). Se ne fece un referendum, nel 2005, e non è questa la sede per riaprire il dibattito. Sta di fatto che quella vicenda ha lasciato un retrogusto sgradevole, la sensazione che si voglia bloccare la scienza. Quindi la speranza di vita per i malati. Evocare le “staminali” significa sollecitare quella paura. E quella rabbia. Ma non basta nominarle per poi vestire i panni di novelli Galilei. Poi c’è che ogni autorità, oramai, non è più autorevole. A noi tutti è capitato di dovere fare i conti con diagnosi sfavorevoli, affidandoci a medici di fiducia per sapere cosa fare. O cosa è inutile fare. Ma quando dal medico di fiducia si passa al sistema sanitario (non solo il nostro nazionale) è come se la fiducia svanisse, come se lo si ritenesse più attento al business che non alla cura. A questo aggiungete che nel nostro disgraziato Paese i giudici si sono messi a fare anche i medici, stabilendo a chi spetta una terapia e a chi no. Siamo arrivati al colmo che sia un tribunale amministrativo a stabilire chi ha competenza e autorevolezza per decidere se si tratta di cura o truffa (e secondo quei criteri e quel modo d’operare la risposta finale sarà che nessuno può farlo, il che è assurdo). Metteteci, infine, che i ministri della sanità se la fanno sotto: la Bindi con Di Bella, che andò anche a trovare; Balduzzi con Stamina; Lorenzin con i malati. Ma il dissolvimento della responsabilità è l’evaporazione della civiltà.

Sarebbe stato bene ricevere subito i malati che hanno eretto un presidio a piazza Montecitorio, invitandoli a seguire il lavoro d’accertamento. Nel frattempo avrebbero dovuto sbaraccare. Invece ci si è trincerati dietro il “non è di mia competenza”, subendo anche il ricatto del dolore. Siamo giunti al ripetuto blocco del traffico con le carrozzine e i corpi malati usati come paletti, fino al punto che ho letto (sul Corriere della Sera, domenica scorsa) l’invito alla comprensione verso di loro e la condanna di chi non intendeva subire l’interdizione a circolare. Invece quelle manifestazioni erano violente, esecrabili. Avevano la pretesa di prendere i cittadini in ostaggio e chiedere una ragione scientifica che, in quel modo, era impossibile ottenere. Chi era in buona fede (tanti, e leggo con commozione le lettere che mi hanno spedito) doveva essere difeso dal raggiro. Chi non è in buona fede (troppi) deve essere impedito di nuocere ulteriormente.

Quel che serve è solo e soltanto un procedimento trasparente che porti al velocissimo accertamento dell’esistenza, o meno, di basi scientifiche. Fin qui tutto testimonia in senso opposto, né vale a nulla il grido strozzato di chi crede d’avere visto miglioramenti. Questa non è una faccenda di fede. Va affrontata con razionalità e non con grottesche “indagini conoscitive” a cura del Senato. Non mi faccio curare né dai giudici né dai senatori. Ci sono protocolli internazionali di verifica: se non ci fidiamo di noi stessi facciamolo fare agli australiani. Ma facciamola finita in fretta. E se dietro non c’è scienza, ma sollecitata suggestione, come tutto lascia supporre, che gli artefici di questo inganno siano puniti.

Pubblicato da Libero

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