Ginevra contiene tesori nascosti, che vale la pena scovare e gustare (no, non sto parlando dei vostri conti cifrati, rilassatevi). Mi riferisco a due piccole, ma interessantissime raccolte che narrano il passaggio ginevrino di Rousseau e Voltaire.
Tutti e due francesi, tutti e due grandi protagonisti del secolo dei lumi. Il primo, Jean-Jacques, visse una vita più sfortunata e travagliata, costretto a fuggire dalla Francia dove era sospettato, non a torto, di essere un oppositore dell’assolutismo, approdò sulle rive del lago lemanno, dove, ancora oggi, i ginevrini, quando passano sul Pont des Bergues, salutano il monumento a lui dedicato.
Pensò che gli uomini nascessero buoni (non ne aveva conosciuti certuni e su questo, credo, ebbe ragione l’inglese Thomas Hobbes), ma poi vengono corrotti dalla società in cui vivono. A lui si deve la poderosa impostazione della teoria della sovranità popolare. Presso la Biblioteca Pubblica Universitaria di Ginevra sono conservati gli originali di molte sue opere, e davvero vale la pena di andarci a mettere il naso (anche perché, per arrivare alla stanza dedicata a Rousseau, si passa attraverso una sala dove si trovano diverse Bibbie originali, il che non è privo di suggestione, nella città di Calvino).
In particolare si trova la copia originale del Contratto sociale, con i commenti manoscritti, a margine, da Voltaire. Un esemplare prezioso, che racchiude in sé la magia della prima stampa e l’esempio di come il dialogo fra questi due grandi pensatori, e uomini liberi, si dipanasse nel dialogo fra le loro pagine, e come ciascuno s’impegnava a dialogare con le pagine dell’altro. Un esempio di passione e di studio che ha il calore palpitante del tempo vissuto.
Sono in pochi a giungere in questa piccola stanza, le cui luci rimangono, normalmente, spente (e devo alla cortesia del custode l’avere potuto accedere). Ma è un peccato, un sacrilegio. Quindi, non fatevi sfuggire l’occasione.
François-Marie Arouet de Voltaire subì la sorte opposta. Giunse a Ginevra nel 1755, e prese dimora nella casa che adesso ospita l’Istituto ed il Museo che a lui s’intitolano, vi rimase, però, solo cinque anni perché presto divenne indesiderato, per le autorità ginevrine.
La sua produzione intellettuale spazia fra la storia e la filosofia, fra la poesia ed il teatro. Una personalità da cui il secolo non poté prescindere, ed alla quale, ancora oggi, non possiamo non fare riferimento. Sua l’affermazione (che ne descriveva l’impegno e la libertà intellettuale) secondo la quale: “Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo”. Qualcuno dovrebbe rileggere quelle pagine.
Il museo a lui dedicato, anche questo assai poco frequentato, è più grande e luminoso della stanzetta roussoiana, ed essendo ambientato nella casa vi si ritrovano molti oggetti che gli appartennero, alcuni angoli nei quali lavorò, a cominciare dallo scrittoio. Sono raccolti, naturalmente i suoi manoscritti ed i suoi molti libri. Alle pareti si ritrovano scene della sua vita, o tratte dai suoi scritti, ed è qui che ho avuto un tuffo al cuore quando ho visto due stampe: “Les adieux de Calas a sa famille” e “La malhereuse famille Calas”. Già, perché quelle stampe rimandano a pagine fondamentali dell’opera volteriana, pagine che mi avevano impressionato e che ancora m’impressiona non siano considerate una lettura obbligatoria per le persone civili, e specialmente per chi lavora nel mondo della giustizia.
Il fatto è realmente accaduto e capitò ad una famiglia di persone per bene, religiose, ma non fanatiche. Fra i figli ve n’era uno, introverso e vagamente squilibrato. La famiglia, per salvare il proprio buon nome (che, purtroppo, i pregiudizi e l’ignoranza sono causa di non pochi mali), celò sempre questo stato di cose.
Una sera, nel corso della cena, e senza che fosse avvenuto nulla di particolare, questo figlio chiese di alzarsi e ritirarsi. Un suo fratello aveva invitato un amico, e fu proprio questo fratello, in compagnia di questo amico, che fecero, più tardi, la macabra scoperta: il giovane si era allontanato da tavola, era sceso al piano di sotto e si era impiccato. Il dolore e la disperazione s’impadronirono dei presenti. Ma essi non sapevano che il peggio doveva ancora arrivare.
Fu avviata, infatti, un’inchiesta giudiziaria e subito fu seguita la pista dell’omicidio. Si pensò, infatti, che essendo il giovane morto in procinto di convertirsi ad altra religione il padre, per evitarlo, lo avesse impiccato. Il padre, arrestato, aveva pregato gli altri familiari di non dire che il giovane si era impiccato. Perché lo fece? Perché inquinò le prove, al punto da lanciare i presupposti della sua presunta colpevolezza? Lo fece perché il suicidio era contro la legge di Dio e, pertanto, il cadavere doveva essere seppellito con disonore. Lui, invece, amando il figlio morto, voleva evitargli questa sorte. Ed i funerali, difatti, furono quelli di un martire.
Successivamente il pover uomo cercò di spiegare com’erano andate le cose. I testimoni erano tutti a suo favore, compreso l’amico del figlio e la cameriera. Ma rimaneva il fatto che quell’uomo si “contraddiceva”. Così Jean Calas, commerciante tolosano, ugonotto, fu torturato a morte, sulla pubblica piazza. Al prete che, fra i tormenti, implorava che confessasse, rispose: “ma non crederà mica, padre, che si possa uccidere un figlio”.
Noi non conosceremmo questa storia se non se ne fosse occupato un uomo chiamato Voltaire. Scrisse molto. Si batté per la revisione del processo, la ottenne e, con questa, ottenne anche la riabilitazione del povero Calas. Morto innocente. Alla lettura della sentenza Voltaire scoppiò in lacrime.
Noi ci rammarichiamo che si possa entrare nelle aule di giustizia, così come si possa assistere allo spettacolo delle condanne, senza mai avere letto quelle pagine. Ci piace, invece, pensare a quelle lacrime di Voltaire: gli uomini liberi e la libera cultura non si piegheranno mai allo spettacolo dell’accusa e del supplizio; saranno sempre estranee al mormorio della maldicenza, al conformismo che isola il presunto diverso, o il presunto colpevole.
Visitate questi due luoghi. Dopo, vi sentirete più liberi.