Il sei novembre sapremo quanti sono gli studenti universitari stupidi. Spero nessuno, ma temo il contrario. Quel giorno, difatti, sono previste delle manifestazioni contro il progetto di riforma universitaria, varato dal Consiglio dei ministri. Premesso che, in un Paese libero, ciascuno manifesta per quel che gli pare, ma il rispetto di quel diritto non comporta l’acquiescenza a quel che i manifestanti dicono, o, più spesso, urlano, e posto che le organizzazioni studentesche rappresentano solo una minoranza di studenti, ma questo non mi sembra un buon motivo per non valutare seriamente quel che dicono, la domanda è: hanno ragione, i ragazzi a protestare contro la riforma Gelmini?
Se fossi un giovane studente non avrei dubbi: manifesterei. Acchiapperei il megafono e sosterrei che l’università italiana ha da tempo toccato il fondo, dove giace con dispendiosa voluttà, che il confronto con la qualità delle altre università, nel mondo, è umiliante e che, pertanto, in queste condizioni, ci vogliono azioni chiarissime ed immediate, smantellando il baraccone clientelare ed ignorante che occupa il regno della cultura. Urlerei la necessità di cancellare il valore legale del titolo di studio, residuato fossile di uno statalismo accentratore e liberticida, ora divenuto baluardo di sprechi. Reclamerei la spietata selettività meritocratica nella scelta dei docenti, che a loro volta siano capaci di applicare i medesimi criteri ai discenti. Mi guarderei bene dal sostenere tesi insulse come quelle che reclamano “diritto allo studio” e maggiori finanziamenti, utili solo a proiettare nel futuro l’attitudine burocratico-parassitaria di sistemi che diffondono incapacità a piene mani. Mentre pretenderei il privilegio in capo ai bravi ed ai meritevoli, di modo che in cattedra e nella vita prevalgano i migliori, e non i figli o gli amanti di.
Accuserei i giornalisti di avere presentato la riforma come se fosse fatta, mentre, invece, non solo deve ancora cominciare il lungo, estenuante e corruttivo iter parlamentare, ma il testo del disegno governativo prevede a sua volta una legge delega, sicché, dopo l’approvazione, ancora ci sarà da cominciare.
Il ministro Gelmini mi risponderebbe, probabilmente, che quel che chiedo è troppo, che bisogna accontentarsi dei passi in vanti, che si deve procedere con gradualismo e che non si può certo saltare il democratico vaglio del Parlamento. Sicché replicherei: sono un giovane studente, ho anagrafico diritto a sperare in un futuro migliore, per cui, gentile signor ministro, lei faccia pure i suoi passi in avanti, io cercherò di rendermi utile giudicandoli sempre troppo pochi e troppo lenti.
Se, invece, gli studenti che andranno in piazza dovessero sostenere il contrario, vorrebbe dire che sono scemi. Non prendo neanche in considerazione l’ipotesi che siano intellettualmente disonesti, o solo pedine della propaganda politica. No, sarebbero scemi, e basta. Perché sono loro gli agnelli sacrificali di questo sistema. Eppure sono lì, che festeggiano l’imminente pasqua, pensando di potere accedere al banchetto dal lato dei commensali. Sono loro che vivono nel Paese più ostile ai giovani, che ne impedisce la promozione sociale, che ne delude le aspettative di maggiore reddito. Loro che prenderanno fogli di carta vuoti di contenuto. Loro che si laureeranno in “scienze della comunicazione”, senza essere capaci di mettere in corretto italiano una mail con la quale si candidano a fare i giornalisti (del resto, a che serve, non lo vedete, come sono scritti i giornali?). Loro a laurearsi in giurisprudenza senza avere mai visto un’aula di tribunale, senza avere idea di come si prepari un atto. E poi via, a far gli sguatteri in qualche studio, per un lungo precariato professionale, e sempre ammesso che la famiglia abbia potuto raccomandarli e possa mantenerli.
Ve li immaginate gli studenti in piazza, a reclamare l’“autonomia” didattica delle singole università, delle singole facoltà, dei singoli docenti? Gran vessillo della libertà, sarebbe dovuto essere, gran copertura per il familismo amorale e per l’asineria incattedrata è, invece, stata. E li vedrete, tutti in coda a chiedere che il governo scucia i dobloni, come se maggiori somme portino a migliori studi, quando, invece, finiscono tutte negli scolatoi della spesa corrente: stipendi, approvvigionamenti, appalti. E, alla fine? Come stessimo rimanessimo.
Lo so, quelli che sfileranno (e il cielo non voglia lo facciano per queste stupidate) sono una minoranza. Ma dov’è e cosa fa, la maggioranza? E’ consapevole di quel che accade, ha capito di andare al massacro? E’ chiaro, ai giovani, che stiamo finendo di mangiarci il loro futuro? Perché a me resta il dubbio che mentre la minoranza s’incolonna appresso alle scemenze, una parte consistente della maggioranza sia in piazza, ma all’happy hour, intenta a brindare con i soldi di papà. Sveglia, ragazzi, vi stanno fregando.