Idee e memoria

Tettamanzi ed i divorziati

Nel giorno in cui il colonnato del Bernini ha abbracciato il raduno cattolico, di solidarietà con il Ratzingher che un pensiero laico, di rara debolezza, ha individuato quale nemico della libertà, il sito internet della diocesi ambrosiana ha anticipato il contenuto di una lettera che Dionigi Tettamanzi, arcivescovo, ha inviato a tutti, indirizzandola ai cattolici separati, divorziati ed eventualmente risposati. I firmatari dell’appello contro Ratzingher farebbero bene a leggerla, e ad interrogarsi su quale danno hanno prodotto alla secolarizzazione ed alla laicità.

Per la chiesa il matrimonio è un sacramento ed è indissolubile. Non sempre, per la verità, e noi laici abbiamo molte volte fatto osservare che la Sacra Rota s’è spesso ispirata a bisogni terreni più che a dottrine ecclesiali. Non si ha il diritto di contestare una tale visione: si può non aderire, ma neanche trovo nulla da ridire. Pur rispettando che per alcuni (o per molti, o moltissimi, non cambia) il matrimonio sia un sacramento, ritenemmo più che giusta la legge sul divorzio. Anzi, ci parve limitativa ed ancora oggi ci battiamo per sveltirne molte procedure. Per l’amministrazione civile il matrimonio non è un sacramento, ma un contratto, come tale sottoposto alle vicissitudini della vita.
Tettamanzi non si limita a sentirsi cristianamente vicino a tutte le donne e gli uomini della diocesi, non si limita a prendere atto che il consumarsi di un matrimonio è segno di sofferenza, ma aggiunge che “il matrimonio non può trasformarsi in una insostenibile trafila di reciproche asprezze”. Meno ancora, immagino, in asprezze subite da uno solo. Sono i nostri argomenti di quegli anni settanta, quando le gerarchie avversavano il divorzio. Certo, naturalmente l’arcivescovo non tocca le architravi della fede, non mette in discussione la natura del matrimonio, ma la “contaminazione” dei suoi argomenti con quelli che un tempo furono giudicati con tanta, ingiusta severità, è non solo evidente, ma da accogliersi con soddisfazione. Direi con gioia. Ci pensino, quelli che confondono la laicità con un laicume privo di spessore: è un’evoluzione cui abbiamo dedicato molte energie, non c’è ragione di non sottolinearlo.
La chiesa nega l’accesso all’eucarestia a chi si è risposato. E’ un suo diritto, ci mancherebbe. Faccio, però, osservare che la distinzione fra chi è separato (ammesso al sacramento) e chi è rispostato è un po’ ipocrita. Si basa sull’idea che i primi abbiano dolorosamente preso atto di un fallimento, rinunciando poi alla propria vita affettiva e sessuale, mentre i secondi siano partiti dallo stesso dolore, ma non siano stati capaci della rinuncia. Posto che tale rinuncia non mi pare sia un merito, credo che l’immaginifica situazione di quei separati sia del tutto fuori dalla realtà. E, come si vede, con calma, con argomenti, con qualche pensiero, c’è ancora vasta materia per confrontare opinioni diverse e diverse sensibilità.
Ma nelle pagine di Tettamanzi, nel suo sforzo di riportare alla ragionevolezza una condanna altrimenti per molti inaccettabile, si trova anche la consapevolezza che la vita reale è assai diversa da quel che qualche rotocalco diffonde. Il mondo di molte famiglie non è quello di un presidente francese che, nel giro di qualche settimana, passa dall’afflizione per essere stato abbandonato all’euforia per avere conosciuto ed impalmato la sua nuova anima gemella. Per moltissimi, tutto al contrario, il divorzio non è solo il frutto di un dolore sentimentale, ma anche la via che porta all’impoverimento. E, del resto, ripeto il mio rispetto per quel che la gerarchia amministra nel nome della fede, ma alla mia povera mente sfugge come possa essere “canonico onorario” chi ha divorziato due volte e s’è sposato tre, mentre ad altri si debba indirizzare Tettamanzi, affinché non si sentano abbandonati dalla comunità cristiana.
Ah, quante cose ci sono ancora da dirsi, se solo non ci si lascia confondere dal chiasso fastidioso di chi ha la fregola di dimostrarsi laico, riuscendo talora ad apparir piuttosto laido.

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