Chi insegna nelle scuole, in Italia, è pagato troppo poco. E’ vero ed il ministro dell’Istruzione ha fatto bene a sottolinearlo, parlando alla commissione cultura della Camera. In media, gli insegnati italiani sono fra i meno pagati d’Europa. All’ingresso stanno meglio solo rispetto ai colleghi portoghesi e greci, ma negli anni perdono anche questo “vantaggio”. Una situazione incresciosa, non c’è dubbio. Però, attenti a quel “in media”, e non per le note ragioni narrate da Trilussa.
Se anziché considerare la paga mensile si considera quella per ora lavorata, già la distanza s’accorcia enormemente. Quindi, ecco un primo dato: i docenti italiani lavorano meno ore dei loro colleghi europei. Se, poi, si considera la spesa per l’istruzione in rapporto al numero degli studenti, ecco che quella italiana non è affatto sotto la media europea, il che renderebbe impossibile la conclusione annunciata in apertura, che, invece, torna ad essere vera solo perché abbiamo il 58% di maestri ed il 33% di docenti medi in più, a parità di alunni, del resto d’Europa. Ed ecco il secondo dato: i docenti italiani sono troppi. Riassumendo: sono più degli altri e lavorano meno, ecco perché guadagnano meno. E’ chiaro che in una situazione come questa non solo non serve aumentare la spesa, ma facendolo si aggraverebbe il problema.
Andiamo ai risultati: gli studenti italiani si collocano in fondo alle classifiche Ocse circa l’applicazione dei questionari Pisa, ovvero relativamente alla valutazione di quel che hanno effettivamente imparato. Pertanto: i docenti italiani sono troppi, lavorano meno ore della media ed insegnano male. Premiare una tale situazione sarebbe un grave errore.
Il ministro ha ragione, ma solo a patto che sappia mettere mano prima alla meritocrazia e poi alla sua retribuzione. Prima si deve essere capaci di selezionare con più accortezza la classe dei docenti, poi si potranno valutare gli incentivi per chi svolge meglio il lavoro. Se si prende in considerazione il solo, e rozzo, parametro dell’assenteismo (che nella pubblica amministrazione, scuola compresa, è drammatico) si rischia di premiare i somari assidui, che non è un bel modo di far funzionare la scuola.
Pensare di mettere in piedi un sistema nazionale di valutazione individuale è acrobatico. Meglio puntare sull’autonomia scolastica, prendendo in esame non i giudizi di gradimento su ciascun docente (rischiando, ancora una volta, di penalizzare i severi), ma i risultati di vita, compresa la successiva carriera scolastica, di quanti hanno frequentato quella scuola. Il capo dell’istituto sia libero di scegliere gli insegnati, ed i finanziamenti siano in proporzione ai risultati conseguiti, anche considerando i dislivelli sociali e culturali. Ciascuno, insomma, sia responsabile della propria scuola e gli incapaci siano progressivamente affamati.
Fuori da questa via, vedo solo sistemi per far crescere la spesa pubblica improduttiva.