Idee e memoria

Ugo La Malfa, 26 marzo 1979

26 marzo 1979. Moriva Ugo La Malfa. Per noi, allora fra i più giovani, fu un maestro di politica. Ci piaceva anche per quella sua avversione alle celebrazioni rituali. Diceva di aver trovato un partito repubblicano che ancora accendeva lumini sotto all’immagine di Mazzini, non gli faremo il torto di accenderne sotto la sua.

Fu un grande uomo politico, quindi, come s’usava e s’usa nella grande politica, fu un intellettuale, un analista, idealista e pragmatico al tempo stesso, animato da una travolgente passione democratica. Ma prima di tutto fu un combattente politico, totalmente immerso nel suo tempo, dal quale guardava verso il futuro. Per questa ragione trovo sia del tutto arbitrario, nei suoi confronti come con altri, esercitarsi nel giuoco: dove si troverebbe adesso? cosa direbbe adesso? Non siamo autorizzati a praticarlo, e nessuno può seriamente dire se oggi si schierebbe da una parte o dall’altra. Ogni tanto sento che lo citano come padre dell’uno o l’altro schieramento, e penso, sempre arbitrariamente, che li diserederebbe.
Ma prima degli attuali schieramenti, alla loro origine, c’è il biennio giustizialista del 1992-1994, quando la coalizione di partiti di cui anche lui aveva fatto parte, senza avere mai perso le elezioni, avendo sempre preso più voti di quanti oggi non ne prendano sia gli uni che gli altri, fu cancellata dalla schede elettorali. Ecco, per quel che riguarda quel passaggio mi sento di dire che Ugo La Malfa non si sarebbe comportato come nessuno dei tremuli protagonisti di allora.
Posso dirlo perché proprio lui ce ne diede l’esempio. Quando scoppiò lo scandalo dei soldi che i petrolieri avevano dato ai partiti politici, nel mentre correvano voci su quanto avesse preso questo o quello, nel mentre si facevano i nomi dei segretari amministrativi dei partiti e quando nessuno aveva fatto il suo nome, egli pretendeva di andare in procura della Repubblica a dire: quei soldi li ho presi io, vi dico quanti sono e lasciate perdere quelli che si sono trovati in mezzo, perché ne rispondo solo io. Neanche lo ricevettero, perché allora così si pensava fosse giusto. Erano lontani gli anni del “non poteva non sapere” ed il diritto, se proprio non era dritto, non s’era del tutto storto.
Attenzione, però, quella, per La Malfa, non voleva essere un’ammissione di colpa. Lui non confessava, rivendicava. Aveva l’orgoglio dell’autonomia politica, aveva il ribrezzo dell’ipocrisia che voleva la politica distante dal denaro, annettendosi le responsabilità si annetteva il merito di avere fatto politica. Da uomo libero. Non gli serviva coraggio, era sufficiente il sapersi non corruttibile ed il riconoscere che la lotta politica era fatta anche di denari da spendersi.
Non trovò emuli, nel biennio giustizialista, nessuno fu alla sua altezza, nessuno si mosse preventivamente e qualche significativa sincerità giunse solo quando era troppo tardi. In questo, almeno, trova giustificazione il fatto che quel mondo politico fu travolto e distrutto.
Dei grandi del passato si dice spesso che “il suo pensiero è attuale”. L’insegnamento di Ugo La Malfa è parte della nostra vita, quindi per noi contemporaneo, certo, però, fa una certa impressione osservare l’Italia piegata sotto una pressione fiscale enorme, con una spesa pubblica quasi tutta corrente ed un deficit che ha, da tempo, superato il pil. E’ l’avverarsi di quello che La Malfa vide per tempo, che poteva essere evitato e che, invece, complici la politica, il sindacalismo ed il capitalismo familiare e relazionale, è divenuta la triste sorte italiana. Non avrebbe provato alcuna soddisfazione nell’avere avuto ragione, come mai gioì dei fatti che confermavano le sue pessimistiche previsioni. Ma, ora come allora, ne avrebbe tratto la forza della rabbia, la conferma che occorreva fare di più per liberare il Paese dalle culture nemiche del mercato e dagli egoismi nemici della solidarietà. Avrebbe tradotto i tristi presagi in argomenti di lotta politica, perché era uno sfegatato ottimista e non pensò mai che la battaglia fosse persa.
Che ne è di quella cultura politica? L’Italia d’oggi è certamente laica, al punto da spingere la chiesa ad interventi sempre più energici per cercare di riattrarre le coscienze. In politica estera è scomparsa la sudditanza, anche economica, di gran parte della sinistra agli interessi di una potenza militare e politica nemica della libertà e della nostra sicurezza, ed il terzomondismo mediterraneo ha fatto il suo tempo anche in casa cattolica. L’Italia è attaccata alle alpi, come la voleva. In politica economica è stata seppellita l’avversità comunista e religiosa alla proprietà privata ed al capitalismo, al punto, fin troppo esagerato, che molti degli antichi demolitori si son trasformati in adoratori della finanza, che per difetto di cultura scambiano con il mercato. L’Italia d’oggi non è quella che avrebbe voluto, non è quella che vogliamo, ma è certo che lo designa vincitore contro le forze maggioritarie che dominarono la scena.
Se la sinistra desse vita ad un partito democratico che rifugga dalle ideologie, aderisca ai valori politici e democratici dell’occidente, lasci libero il mercato ed usi la spesa pubblica per correggerne le ingiustizie, allora la sinistra scoprirebbe d’essere lamalfiana. Se la destra desse vita ad un partito delle libertà che sappia distinguere le parole della fede dalla passione per le istituzioni, che sappia difendere l’integrità territoriale e politica d’Italia, che coltivi un’etica pubblica che non sia parente del moralismo, scoprirebbe anch’essa d’essere lamalfiana. Ma né l’una né l’altra cosa stanno succedendo. Ancora una volta c’è l’Italia peggiore che conserva se stessa e quella degli interessi diffusi che non trova rappresentanza politica. La scuola lamalfiana conta poco e nulla, da una parte e dall’altra.
Molto dipende dall’inadeguatezza dei continuatori. Dal loro essersi divisi sulle forme lasciandosi sfuggire la sostanza. Dall’avere capovolto l’insegnamento su contenuti e schieramenti. Molto, naturalmente, dipende dal fatto che manca la sua parola. Certo. Ma credo ci sia una ragione ancor più profonda: nell’Italia di oggi la nostra cultura e la nostra scuola politica ancora s’attardano a cercare la rappresentanza e la testimonianza, laddove nulla ci difetta per aspirare alla guida dei processi politici e degli interessi nazionali. Ugo La Malfa ci ha lasciato gli strumenti per coltivare questa ambizione. Nulla ci difetta, se non la nostra pochezza.

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