Fidel Castro si occupa di calcio. Guillermo Fariñas, intanto, vive le sue ultime ore, a digiuno di pasti e di libertà. Fidel Castro lamenta gli errori arbitrali, che sono costati al Brasile l’uscita dai mondiali, a vantaggio degli olandesi. Dice che se anche l’Uruguay dovesse essere escluso la finale sarebbe tra squadre europee, il che lascia “stupefatti” i tifosi cubani e indigna lui, il loro carnefice, che, ancora una volta e come sempre, adombra l’idea di un complotto ai danni dei popoli liberi. Primo fra tutto quello degli schiavi cubani.
Fa una certa impressione, vedere il barbuto dittatore finire nel pallone. Chi non ne conosce la storia potrebbe credere che sia pazzo, o senilmente rincitrullito. Totalmente sbagliato: quest’uomo conosce a menadito l’arte del potere, ha nel sangue la vocazione al dominio. I pazzi, anzi gli imbecilli in malafede, sono quelli che, a casa nostra, satolli e liberi di dar fiato a tutte le fesserie che passano loro per la testa, ancora si sdilinquiscono appresso al sogno non sognato della rivoluzione cubana. Nelle carceri di quel regime spietato e persecutorio, nemico del popolo e della libertà, si svolge una staffetta di morte: uno dopo l’altro degli eroi si passano il testimone di una vita che vale di più se persa per una giusta causa che se condotta avanti chinando il capo innanzi ai fratelli Castro. Fratelli che, quando saranno morti, resterà il rammarico del tempo che c’è voluto.
Intendiamoci, Cuba non è l’unico posto al mondo in cui i giusti sono perseguitati, gli oppositori annientati, i diversi incarcerati, i popoli affamati. Fate girare il mappamondo e scegliete liberamente, talora anche assai vicino a casa nostra. Se a due omosessuali viene impedito di “sposarsi” ci sono subito delle organizzazioni che strillano contro la compressione dei loro diritti, ma se due omosessuali vengono impiccati in Iran si resta assordati dal silenzio. Sono le meraviglie del pensiero anti occidentale, che così profonde radici ha, in questa parte dell’Occidente. In compenso, almeno, ci è risparmiato l’orrore di sentir dire che il migliore sistema possibile è quello della teocrazia fondamentalista e guerrafondaia. Per Cuba no, non ci viene risparmiato, perché Cuba è l’unica dittatura sopravvissuta che ha, in casa nostra e in altri Paesi democratici, ammiratori e sostenitori.
Il popolo cubano stava meglio ed era più libero quando aveva un governo infiltrato dalla mafia, guidato da Fulgencio Batista. I castristi de noantri non solo non lo ammettono, ma inorridiscono: a quei tempi, dicono, Cuba era un bordello a cielo aperto. Vero, c’erano casinò e bordelli, dove lavoravano molte ragazze francesi. Oggi è meta del turismo sessuale, con vecchie babbione che vanno a trastullarsi con i baldi giovini locali (che si prostituiscono per soldi, mica per altro) e maiali che vanno a violare ragazzine e ragazzini. Era meglio prima.
Dalle nostre parti s’è molto parlato del carcere di Guantanamo, che si trova sul pizzo d’isola amministrato dagli americani. Ed è giusto che se ne parli, perché i sospettati di terrorismo islamico, colà detenuti, sono soggetti al diritto che conosciamo e pratichiamo. Ne siamo, in un certo senso, responsabili. E’ noto che Barack Obama basò una parte della propria campagna elettorale sulla condanna delle cose fatte dall’amministrazione repubblicana e sulla promessa di chiudere subito Guantanamo. Che è ancora lì, perché le cose non stavano come le si propagandavano. Dalle nostre parti, invece, non si parla mai delle prigioni che stanno sul resto dell’isola, di quell’immenso e agghiacciante lager tropicale costruito da Castro. Perché? Perché l’ideologia acceca gli uni e assolve gli altri, creando un clima d’omertà che ancora c’impedisce di gridare che noi italiani siamo complici di quel regime, amministrandone la compagnia telefonica. Lì non sono i giustizialisti di sinistra a chiedere d’essere tutti intercettati, è il regime fascicomunista a intercettare tutti, per meglio esercitare l’arte della repressione.
Così, riusciamo anche a tollerare che Fidel Castro parli di calcio, magari commentandone le affermazioni, senza sentirci in dovere di attraversare l’Atlantico per prenderlo a calci. Così, sulla pelle dei cubani, qualche deficiente nostrano continua a coltivare il mito della rivoluzione e del regime buono, capace di respingere gli attacchi e le trame di quei cattivoni degli americani. Noi, invece, ci sentiamo addosso la colpa di non scrivere ogni giorno, tutti i giorni, dei tanti valorosi che non hanno smesso di lottare e di pagare. Sui nostri giornali, fra poco, troverà spazio la notizia della morte di Fariñas, per poi essere cancellata quella del testimone raccolto da un altro prigioniero. Ci siamo dimenticati la lezione del nostro miglior Risorgimento, quando si sapeva che la libertà di un popolo è la libertà del mio popolo.
A quanti ancora credono d’essere intelligenti, mostrandosi condiscendenti e misericordiosi quando dalla nostra bocca escono parole di sano e democratico anticomunismo, a questi signori viziatelli e ignoranti, che si sentono spiritosi nell’osservare che non si può essere anticomunisti senza più il comunismo (invece si deve essere antifascisti, con il fascismo seppellito fra i rifiuti del secolo scorso), suggerisco di dedicare trenta secondi del loro tempo a meditare sulle ultime ore, che in questo momento scorrono, di Fariñas. Auguro loro che ancora un brivido di vergogna segnali l’esistenza di un briciolo di cervello.