Idee e memoria

Un messaggio chiaro

Il messaggio delle urne è complessivamente chiaro: non se ne può più. Inutile prendersela con chi non ha votato, quasi sia colpa dei cittadini il non appasionarsi allo scontro politico. Semmai si dovrebbe rivolgere la mente alla grande maggioranza, che alle urne è andata, con eroica fiducia democratica. Non sono gli elettori a dovere cambiare atteggiamento, è la politica a dovere cambiare musica.

La partecipazione al voto, in Italia, è mediamente superiore a quella europea. Da qualche anno è in calo, ma gli elettori dimostrano di sapere distinguere: alle elezioni politiche vota più dell’80%, a quelle europee la partecipazione crolla, e l’ultima volta, l’anno scorso, ha visitato il seggio solo il 65,9% degli aventi diritto. Alcuni cervelloni dicono che la disaffezione al voto dipende dalle liste bloccate, peccato che i vertici d’astensione si toccano quando ci sono le preferenze. Gli italiani, piuttosto, sanno riconoscere le partite vere da quelle inutili, il voto destinato ad avere conseguenze sulla realtà da quello che somiglia di più ad un maxisondaggio, a spese dello Stato. Anche alle regionali la partecipazione è andata diminuendo, ma questa volta si assiste ad un autentico tonfo, il punto più basso della storia repubblicana. C’è qualche cosa di più, rispetto alla fisiologia, che impone il dovere della ruvidezza.

I menefreghisti e i qualunquisti sono sempre esistiti. Non c’è ragione di combatterli né di volere per forza sapere come la pensano. Gli altri, quelli che in circostanze diverse vanno a votare, invece, hanno mandato un segnale inequivocabile: non crediamo che le alternative oggi proposte siano realmente tali, l’offerta elettorale non ci pare affatto soddisfacente, in tali condizioni non ce la sentiamo di rinnovare il voto di ieri, ma neanche di cambiare fronte, non riteniamo l’altro schieramento migliore di quello che votavamo, ma neanche riteniamo che i nostri beniamini meritino ancora il nostro voto. Vale per la destra come per la sinistra. A questo si aggiunga un ulteriore elemento: le opposte propagande hanno cercato di dimostrare che la vittoria del fronte avverso avrebbe portato chissà quali sfaceli, ma gli elettori chiamati a decidere per le regioni non sono sembrati così convinti che un candidato fosse particolarmente diverso dall’altro. Più o meno, se non è zuppa è pan bagnato. Molti hanno avuto l’impressione che il voto sia irrilevante, se proiettato sulle cose reali, quelle che interessano, dalla sanità allo smaltimento dei rifiuti.

Le grida d’allarme per la democrazia in pericolo, la propaganda che descrive il centro destra come un’accolita di delinquenti che aspirano alla dittatura, ha una credibilità tendente allo zero. Ma anche la reazione è parsa poco convincente, perché non ci crede nessuno che far tacere o ascoltare Santoro sia un problema nazionale. In quanto alle promesse elettorali, alle poche e deboli puntate sul terreno dei programmi, è come parlare al vento, perché s’è perso il conto delle riforme annunciate e non realizzate. E questo è il punto da cui ripartire.

Fra qualche giorno non si parlerà più delle regionali, salvo per le contestazioni sulle regole violate, salvo, quindi, che per farsi ulteriormente del male. Il governo è al suo posto, ma farà bene ad aprire le orecchie e far caso agli umori popolari. La chiamata “o con me o contro di me” funziona ancora, senza quella la percentuale dei votanti sarebbe stata ancora inferiore. I prossimi siano i mesi delle realizzazioni, e ciascuna risponda ad una logica, ad una direzione di marcia, in ciascuna i cittadini dovranno poter leggere il disegno politico e sociale di chi governa. Altrimenti non sanno che farsene degli elenchi delle cose fatte, o di quelle che si sarebbero volute fare, ma senza riuscirci. E’ ora che la politica torni ad assumere un ruolo dignitoso, se non vuol farsi divorare dagli estremismi e dalla protesta.

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