Idee e memoria

Venti anni dopo

Venti anni non sono bastati. Anche perché stiamo ancora sguazzando nelle conseguenze del manipulitismo. Dal passato non si esce mai se si continua a mentire. C’è da strappare lo scenario dell’ipocrisia, c’è da guardare in faccia il male morale che rode l’Italia, c’è da chiudere una guerra, di cui i più non ricordano la ragione. Lascio delle mollichine, sapendo che uccellaci le mangeranno, ma sapendo anche che Pollicino la strada la ritrova. Perché è giusto così.

1. La storia del dopoguerra va letta senza dimenticare la guerra fredda e senza dimenticare la condizione particolare in cui si trovavano l’Italia e la Germania. Non si tratta di evocare scenari globali per giustificare mazzette locali, ma solo di richiamare l’ovvio, da cui discende molto.

2. Quello in cui i grandi gruppi industriali e le società delle partecipazioni statali presero a finanziare i partiti democratici (le coalizioni che andavano dal centro destra al centro sinistra) fu un giorno positivo, per l’Italia. Perché quel finanziamento, dietro al quale si consumavano vari reati, pagava il prezzo della nostra possibile sovranità.

3. Lo scontro divenne feroce in occasione del passaggio che cambiò la storia d’Europa, quando tedeschi occidentali e italiani consentirono lo schieramento degli euromissili. Lì la potenza sovietica cominciò a morire. In Germania lo fecero i socialdemocratici, in Italia Craxi e Spadolini. La battaglia fu durissima e la potenza economica del Pci temibile. Resistere e batterla fu un dovere, essendo di secondarissima importanza la provenienza dei soldi necessari.

4. La legge sul finanziamento pubblico dei partiti era ipocrita, tanto quanto i partiti che la votavano e violavano. Non c’è scusante per questo. E’ una colpa politica, com’è stato segno d’incapacità il non aver capito le conseguenze della fine della guerra fredda. I partiti fucilati fra il 1992 e il 1994 erano già gravemente malati. Non c’entra quel che si ripete a pappagallo, ovvero il troppo alto debito pubblico e la pressione fiscale, perché il debito era la metà di oggi e la pressione più bassa. Il finanziamento pubblico di allora era insufficiente, oltre che violato, quello di oggi, in barba ai referendum, non solo è violato, ma è spropositatamente alto. Il caso dei soldi della Margherita, e del loro gestore, Luigi Lusi, dimostra che palate di quattrini pubblici sono usati per fini privati. Laddove i partiti di un tempo avevano debiti (solo il Pci aveva un patrimonio immobiliare occulto) quelli di oggi traboccano soldi e li investono variamente. Quando non se li fregano. Bel risultato.

5. La necessità di finanziare i partiti non ha nulla a che vedere con la corruzione. La prima cosa fu spesso affidata ai più onesti, la seconda fu praticata dai manigoldi. Avere mischiato le due cose è una colpa dei vecchi partiti come delle inchieste. I primi per non avere rivendicato quei soldi come un merito, le seconde per aver fatto di tutta l’erba un fascio, pur di perseguire un obiettivo politico.

6. Che consisteva nel far fuori i partiti senza far fuori la democrazia, quindi appoggiandosi al fu partito comunista, di cui la propaganda avvalorava un’inesistente onestà (lì albergava la più ripugnante immoralità). Fu grazie a quel disegno che alcune privatizzazioni (vedi il caso di Telecom Italia) si tradussero nel più gigantesco ladrocinio mai perpetrato ai danni della collettività.

7. La corruzione avvelena la politica così come il giustizialismo avvelena la giustizia. Sono fratelli. Figli di genitori pessimi, la cui regola è il disprezzo delle regole. Lo spettacolo dell’accusa ha divelto le regole del diritto e massacrato i diritti individuali, senza che questo sia minimamente servito a sconfiggere il malaffare. In un Paese serio il politico sospettato si dimette. In un Paese serio il magistrato che teorizza la carcerazione come sistema estorsivo viene buttato fuori. Noi abbiamo coltivato, per venti anni, ladri e manettari, pretendendo di dar del delinquente alle persone per bene. La Corte dei conti che denuncia la corruzione, sedendo nei consigli d’amministrazione che gestiscono la spesa pubblica, è il grottesco ritratto di un Paese che disonora le regole.

8. La distanza siderale fra le accuse mosse e le risultanze processuali, l’assenza di condanne effettive, il continuare a raccontare come delinquenti coloro i quali sono stati assolti, il descrivere la vita pubblica come popolata solo da lestofanti serve ad una sola cosa: mostrare che le regole non valgono e ci si fa valere con la disonestà e la prepotenza. A giudicare dalla scena e da come è popolata, direi che tale teoria ha avuto successo.

9. Raccontare il debito pubblico come frutto delle ruberie e l’opacità della vita economica come opera dei criminali serve solo a non volere ammettere che il nostro patto sociale s’è corrotto al punto da basarsi su quei pilastri, coinvolgendo moltissimi, se non tutti. Si accusano pochi per salvare un equilibrio insostenibile.

10. Per forza che la corruzione cresce. Dalle Aule del Parlamento a quelle dei tribunali sono le regole a perdere la partita. Lasciando che dilaghi l’Italia peggiore.

Fatele pure sparire, queste mollichine, continuate a pascervi diffondendo letame. Non è difficile immaginare il risultato.

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