Volete sapere come lo stato sociale può evolversi, senza implodere sotto ai debiti, senza gravare di nuove tasse i cittadini e senza diminuire l’assistenza e i servizi resi? Avete voglia di vedere come, molti anni prima che David Cameron ci pensasse, si è realizzato il sogno di una Big Society che consenta allo Stato d’essere snello? Volete avere la prova che la solidarietà può non essere elemosina, ma struttura economica capace di reggere se stessa? Recatevi a San Patrignano, alle porte di Rimini, e immergetevi in questo gioiello italiano. Visitate i settori produttivi, mettete piede nell’ospedale, entrate nella scuola. Potrebbe essere così tutta l’Italia, se così fossero tutti gli italiani.
Quindici anni fa moriva Vincenzo Muccioli. Non intendo commemorarlo, perché l’uomo che ho ammirato e amato non lo avrebbe tollerato. Di quelli che lo credevano un santo, o un santone, se la rideva, neanche troppo sotto al baffo. A quelli che ritenevano fosse da riservarsi alla “scienza” il mestiere della disintossicazione e recupero dei drogati, sicché gli contestavano l’assenza di titoli accademici, dedicava il suo scientifico dileggio. La droga è stata solo un accidente, Vincenzo è stato molto di più, anzi è: perché quel che lui ha capito, quel che ha fatto, lo ha lasciato lì, a disposizione di chiunque voglia conoscere.
Non aveva alcuna competenza o vocazione specifica, in quanto a droga. A lui interessava l’essere umano. Uscendo da casa, a Rimini, vedeva i giovani degradati dall’eroina: arroganti e sicuri nei modi, distrutti e umiliati nell’anima. Poteva capitargli la stessa cosa se avesse incontrato alcolizzati, o carcerati, o disadattati e disperati di altro genere e natura (del resto, tutti sempre accolti a San Patrignano), in lui sarebbe scattata la stessa molla: cosa posso fare io? perché ci limitiamo, collettivamente, ad attendere che qualcuno intervenga, senza, ciascuno di noi, fare quel che può? E’ nata così, la sua comunità, e conteneva un principio di grandissimo valore e di portata generale: non delegare allo Stato ciò che può fare il privato, e non perché vi sia conflitto fra Stato e privato, ma perché la delega, spesso, è una compartecipazione nel fallimento. Ed era così: le politiche pubbliche di soccorso ai drogati hanno fallito, San Patrignano no.
Ricordare Vincenzo parlando solo di droga è un errore. Lì ebbe il tempo di far vedere cosa si può fare, creando una struttura che gli è sopravvissuta. Ma lo stesso approccio vale in molti altri campi. La strada segnata da Vincenzo Muccioli è quella che può portarci fuori dalla crisi dello stato sociale. E’ un grande programma politico, non asservito ad alcun partito.
Già, i partiti. A Vincenzo fu mossa guerra. Dalle parrocchie alle sezioni, dalle curie alle segreterie, era visto come una sorta d’impostore. Quanto meno un usurpatore di compiti che spettavano ad altri. Fu la galera a dargli fama, il processo con cui si sarebbe dovuta chiudere la faccenda e che, invece, la aprì. L’Italia era con lui, con il cuore e con la mente. Aveva contro molte mani e non poche tasche, intente ad alimentare il pregiudizio. La popolarità lo portò ad essere corteggiato da partiti diversi, con i quali ebbe un rapporto limpido: li rispettava, perché erano le forze che animavano lo Stato, ma li teneva a distanza, perché non era intenzionato ad alcuno scambio. Ciò non mitigò la guerra ideologica che gli fu mossa, sorretta da ideuzze tonitruanti e ridicole, come l’avversione alle istituzioni “totalizzanti”, sulla scia di libri mal letti. Oltre tutto, con scarso senso del ridicolo: difficile trovare qualche cosa di più totalmente annichilente della morte o della tossicodipendenza.
Si arrivò ad un punto in cui Vincenzo si convinse che per far vivere San Patrignano doveva togliersi di mezzo lui. La partita personale fu chiusa a cavallo dei funerali, con la bara scoperta e il corpo esposto, con i necrofori che la sigillarono davanti a migliaia di occhi e telecamere. Doveva essere chiaro a tutti che era stata pronunciata la parola: fine. Ma la partita ideale continuava e continua. Questo Vincenzo lo sapeva benissimo. In quel che ha fatto c’è molto più che il soccorso ai drogati, che già era tutto. In quel che gli sopravvive c’è la dimostrazione che il modello ha valenza generale ed esemplare.
Sono passati “solo” quindici anni, ma sembra un’eternità. Quando la politica italiana tornerà a compitare l’alfabeto delle idee, uscendo dal buio dell’analfabetismo ideale, non si tratterà di commemorare un grande italiano, ma d’imparare da quel che ha fatto.