Abbiamo fatto un ulteriore passo verso la vita artificiale. Dobbiamo andare avanti, senza paura. Ma dobbiamo anche essere consapevoli che il progredire della scienza chiede il progredire del diritto, della codificazione dell’etica, del saper discernere il bene dal male. L’ultimo passo è stato compiuto dallo Scripps Research Institute, ma la scienza aveva già posto al diritto e alla morale domande cui non sono state date risposte.
Non sono in grado di spiegare quel che hanno fatto, né è questa la sede. Ma la sostanza è bene sia alla portata di tutti: da 4 miliardi di anni a questa parte la vita si è evoluta attorno ai filamenti di dna, il codice genetico che presiede all’istruzione per far nascere una biscia o un elefante, ma anche un uomo anziché un altro; i miliardi di possibilità, nel combinarsi binario di quei mattoni vitali, sono fin qui stati dominati dalla natura; quel che sono riusciti a fare è non solo inserire due mattoni nuovi, diversi dagli esistenti, ma assistere al loro riprodursi (l’essere vivente è un batterio) identico all’originale, così come da una biscia nasce una biscia e da un elefante un elefante. Detta in maniera ancora più zotica: siamo riusciti a entrare nel codice della vita, modificandolo. Mentre i ricercatori restano al loro lavoro e mentre la scienza va avanti, senza che le si debbano porre limiti, il problema passa a noi, abitanti di questo mondo.
Intendiamoci su alcune cose essenziali. Non è la prima volta che riusciamo a cambiare la natura. Le galline che ci forniscono le uova e le piante da cui raccogliamo le mele, non sono quelle che la natura mise sul pianeta, ma il frutto di un processo di scelta e selezione operato dall’uomo. Solo che, fin qui, abbiamo saputo farlo solo seguendo le regole della natura, con incroci e innesti, non entrando a modificare il suo codice. La scienza, del resto, deve essere libera nella ricerca, ma nessun uomo può essere affrancato dall’etica. Anche Josef Mengele faceva ricerca scientifica, ma sarebbe stato bene fermarlo e accopparlo prima.
In questa parte del mondo ci siamo lasciati alle spalle, da molti decenni, i paurosi tempi delle guerre, ma viviamo tempi impauriti. La globalizzazione fa crescere la ricchezza, ma noi perdiamo supremazia. Siamo divenuti tremuli al punto da guardare con sospetto anche la scienza, chiedendoci se per caso non sia il modo per aprire la porta ad incubi. Ci siamo dimenticati che è grazie alla scienza che ben più della metà di noi sono ancora vivi, discettano e consumano, che senza gli antibiotici e il resto camperemmo meno della metà degli anni. La paura tende a far dimenticare che non c’è scoperta o invenzione di valore che non abbia portato bene. Certo, anche l’energia nucleare, che debuttò come strumento di morte e oggi vive come strumento di ricchezza e prosperità. Ci siamo incupiti al punto che i soli racconti ascoltati sono quelli che menano gramo, descrivono devastazioni e profetizzano disastri. Senza prenderci. Ma, ed è qui che voglio arrivare, neanche si può accogliere giulivi ogni novità per il solo fatto che sia una novità. Bene che la scienza vada avanti, ma il pensiero e il diritto devono stare al passo.
Per esempio: sappiamo cosa fare quando nascono i figli, ma anche quando non arrivano; sappiamo come regolarci quando il figlio è frutto di corna, messe da lui o da lei, tanto che fior di case regnanti si ressero su quei pargoli; ma quando la scienza ci ha messo in grado di prendere il seme di un signore, unirlo all’ovulo di una signora e impiantare il tutto nell’utero di una terza persona, a quel punto non siamo più stati in grado di regolare la faccenda. Prima sapevamo che il diritto del concepito consiste nel nascere, talora dolorosamente derogato con l’aborto, ma ora ci si pone il problema del diritto di un essere che ancora non è, ma che verrà concepito in modo che non conoscerà mai suo padre o sua madre, o nessuno dei due, quindi non conoscerà i fratelli e nulla saprà delle malattie genetiche avute in famiglia. Ha dei diritti, costui? Ecco un caso in cui la scienza ha preso un passo più spedito della legge, che altro non è se non la codificazione dell’etica condivisa, o, quanto meno, sentita dalla maggioranza. Ci siamo limitati a un dibattito demenziale fra oscurantisti del diniego e incoscienti del progresso, che serve per la televisione, ma è inutile a regolare la vita.
Il batterio con il dna artificiale non ci crea problemi morali. Dischiude una frontiera interessantissima. Leggo la notizia con emozione e gioia. Ma guai a credere che queste cose possano andare per i fatti loro. Certo, ora che ci penso, a guardar la scena del nostro dibattito politico, non è che ci sia da star tranquilli, all’idea che se ne occupino gli stessi. Si potrebbe cambiar loro il dna (ma è solo una battutaccia, forse).
Pubblicato da Libero