Il commento di oggi

170mila

170mila

In quella cifra – 170mila – c’è il totale del nostro dibattito pubblico e politico. Nonché il vuoto della campagna elettorale per le elezioni europee. Non è una cifra nuova, la conosciamo e nascondiamo da anni: è il numero di immigrati da far entrare ogni anno, tutti gli anni, per un trentennio. Poi si vede. Quella cifra si trova in tutti i Documenti di Economia e Finanza dell’ultimo ventennio, compresi quelli firmati – ma forse non letti – dai governi che proclamavano di volere fermare l’immigrazione. Conosciamo l’ipocrisia e la connessa menzogna, quindi non cadiamo nella sciocca trappola di chi sostiene: «Certo, immigrati regolari, mentre noi siamo contro quelli irregolari». Se così fosse avrebbero provveduto a emanare decreti flussi contenenti la cifra necessaria di immigrati regolari, invece non sono mai andati oltre la metà e talora lontanissimi dalla metà. Ergo: vadano a prendere in giro quelli che amano cascarci.

Il merito del governatore della Banca d’Italia – seguito a ruota dal presidente di Confindustria – non è quello di avere elaborato quel numero, ma di averlo tirato fuori e averlo messo in connessione non soltanto con l’equilibrio dei conti previdenziali ma anche con le necessità produttive. Ed è qui che i dati aprono uno scenario inquietante. Nella relazione estesa che accompagna le sue Considerazioni finali si trova (a pagina 106) un grafico che descrive la distanza grande e crescente fra la quota di professioni qualificate utilizzate in Italia e quella nel resto dell’area dell’euro, calcolata sul totale degli occupati. Noi abbiamo la più bassa percentuale europea di occupati sulla popolazione attiva e siamo largamente sotto la media dell’occupazione di qualità. Abbiamo troppo lavoro povero. Tenetelo a mente, che ci torniamo.

Nel mentre abbiamo pochi italiani al lavoro e bisogno di tanti immigrati, negli ultimi dieci anni 352mila giovani italiani sono andati all’estero. Di loro un terzo è laureato. Vivere in un mondo aperto è un bene, quindi in bocca al lupo e che si facciano strada. Ma se noi esportiamo laureati e intraprendenti, producendo lavoro povero, ci si deve domandare dove si stia sbagliando. E la risposta è: nell’impedire la competizione, favorire le rendite di posizione e umiliare il merito. Se vuoi fare l’avvocato senza il giogo dell’equo compenso (che ti impedisce di portare via i grandi clienti agli studi affermati) o se vuoi aprire uno stabilimento balneare innovativo, te ne vai. Qui te lo impediscono. Se vuoi fare il professore universitario, se sei il medico più bravo, il farmacista non nipote di farmacista e così via andando, imbocchi la porta e vai via.

Così come perdiamo i nostri bravi altrettanto facciamo con gli immigrati, che da qui passano e qui non vogliono rimanere. Così procedendo facciamo una selezione al ribasso che scarica i costi sociali dell’immigrazione sulle fasce di reddito più basse e periferiche. Se droghi il mercato con bonus edilizi aumenti il bisogno di occupati in quel settore, divenuto dominio degli immigrati a bassa qualificazione. Così usi i soldi del contribuente per finanziare le ristrutturazioni dei ricchi, pagando lavoratori a basso valore aggiunto. Produciamo lavoro povero e poi ci lamentiamo della sua povertà. Da ricovero.

Poi selezioni un mondo politico che o piagnucola discettando di diritti e umanità oppure ringhia ululando di sicurezza e nazionalità. Inutilissimi. 170mila all’anno devono entrare, il problema è un altro: sceglierli. Se li scegli istruiti e qualificati devi accoglierli in un mercato competitivo, altrimenti vanno altrove come i giovani indigeni. Se scegli i disperati per farne servitù delle tue esigenze avrai un mercato povero. E a conferma di questa seconda vocazione s’alza sempre quello che dice: che fa l’Europa? Altri prendono i più istruiti, come hanno fatto i tedeschi, mentre qui si votava quelli che volevano affondarli.

Quando vedrete un governo che fa un decreto flussi pluriennale per 180mila all’anno sarà segno che l’hanno capita. Sperando di vivere a lungo.

Davide Giacalone, La Ragione 4 giugno 2024

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