Il commento di oggi

Al vento

Al vento

A quel che sembra, ascoltando voci che vanno da quella dell’agitatore periferico a quella del blasonato professore, i populismi prendono piede perché i popoli non contano più niente. Schiacciati dalla globalizzazione, da mercati sempre più vasti e complessi, da multinazionali sempre più potenti, al punto che chi governa un Paese, a prescindere dal suo colore, o si allinea o viene posto nell’irrilevanza. Una lettura che va per la maggiore, ma che non convince affatto, nascondendo la non conoscenza della storia e l’incapacità di leggere la realtà politica.

Usiamo un tema specifico, l’ambiente, sapendo che il ragionamento vale per molte altre materie. Prendiamo i lanciatori di vernice, dentro ai musei, sui monumenti o sui palazzi istituzionali. Su di loro si dividono due partiti: quello che “non condividiamo il modo, ma rappresentano giuste istanze”, e quello che “sono dei delinquenti e vanno fermati”. Il giochino è rivelatore perché ciascuno ottiene quel che vuole e nessuno fa quel che deve: i lanciatori acquistano visibilità, posano eroicamente nell’agire banalmente; i comprensivi posano da persone assennate, non meno che commosse; i repressivi alzano il mento evitando qualsiasi intervento. Tutti assieme non ci hanno detto un bel niente di serio sul tema che sarebbe sottostante le loro sì significative posizioni: l’ambiente.

Hanno detto niente perché hanno niente da dire. Un movimento può ben limitarsi a sollevare un solo tema, magari avendo premura di non essere contro la globalizzazione da globalizzati che se ne giovano. Diciamo, genericamente: si salvi l’ambiente. E va bene, è giusto, ma non ha significato, solo un astratto furore. Perché una politica ambientale, che non sia regressivo pauperismo, quindi movimento mistico e ininfluente, non deve solo inspirare presunti ideali, ma anche espirare plausibili proposte. Il che comporta delle scelte: prediligo il rinnovabile eolico e solare, il che comporta qualche guasto paesaggistico; oppure prediligo il nucleare, che non emette gas serra; oppure ricomincio a bruciare il carbone, perché l’ambiente è una cosa seria, ma la dipendenza dalla Russia fu un più grosso errore. E così via, le opzioni sono molte e ciascuna presuppone interessi da rappresentare e un futuro da far intravvedere.

Ma se a un movimento è consentito manifestare senza realizzare, a chi fa politica non è consentito dire: a. sono ambientalista perché sono di destra e conservatore, quindi desidero conservare la terra dei padri acciocché giunga intatta ai figli; b. sono ambientalista perché sono di sinistra e progressista, quindi so che la scienza ha indicato il pericolo e sento il dovere che ai popoli non sia fatto pagare il prezzo dello sfruttamento capitalistico delle risorse naturali. Non è consentito perché sono due gargarismi insulsi. Il che ci riporta alla partenza.

Di globalizzazioni ce ne sono sempre state, nella storia, come nel mercato ci sono sempre stati i ricchi e i poveri e la finanza è deprecata nei testi dei monoteismi, non freschi di stampa, salvo che i proseliti ben riusciti la praticano con satanica avidità. Ma nulla di tutto questo ha mai fermato la forza delle idee, quindi della politica. Se oggi sembra non esserci, quella forza, è perché mancano le idee e la politica è praticata come arte del raccattar consenso. Senza una visione da proporre, possibilmente non da visionari, alla politica non restano che l’approccio rivendicativo (dobbiamo avere qualche cosa dallo Stato o dal “potere”) o l’approccio vendicativo (lasciateci il posto, perché avete già ciucciato troppo). Vota per avere o vota contro chi ritieni abbia avuto. Per forza che la politica conta meno, dato che questa roba vale assai meno.

Non è la storia che si è fermata, ma molti, nel mondo ricco, il nostro, a credere che si possa galleggiare senza nuotare. Da qui nascono politici populisti, abili nel dire, senza avvertire il bisogno di pensare, persi al vento di giornata e a quello parlanti.

Davide Giacalone, La Ragione 4 gennaio 2023

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