Il commento di oggi

Appaltare

Appaltare

Oggi il Consiglio dei ministri dovrebbe licenziare il testo del nuovo codice appalti. Un adempimento previsto dal Pnrr. Una riforma necessaria. Ci sono indicazioni positive e buone intenzioni, ma farle funzionare è cosa diversa. Se è lecito un consiglio non richiesto, nell’illustrare il nuovo codice sarebbe meglio non utilizzare concetti come: semplificazione, sveltimento e sblocco. Portano sfortuna, sono stati già ripetutamente spesi in passato, salvo complicare, rallentare e bloccare. Veniamo alla sostanza.

Il 9 marzo scorso, riunendosi a Cutro, il governo varò un decreto legge per la costruzione di nuovi centri dove ospitare gli sbarcati. Più che giusto. Per riuscire a realizzarli, però, il decreto prevede che siano derogate le norme del codice appalti, considerate ostative. Si riferisce alle norme in vigore, non alla riforma, ma siccome si tratta del medesimo governo e dato che da quel 9 marzo a oggi non s’è certo costruito alcun centro, c’è da chiedersi se avevano consapevolezza di sospendere quel che si apprestavano a cambiare o se sapevano che il cambiamento non avrebbe dato effetti immediati, quindi compatibili con l’emergenza.

Molte delle norme che saranno introdotte sono di buon senso, ma ce ne sono anche che fanno alzare il sopracciglio. Perché qualsiasi norma non vive di vita propria, ma dentro un sistema di diritto e se quello si storce anche il buon senso devia. Non è un caso che la Corte dei conti, già con riferimento alle altre “semplificazioni” (vedete che porta male?) ha avuto modo di osservare che si deve stare attenti a non favorire la mafia. Ma come è possibile che, ogni volta che si parla di investimenti e appalti, immediatamente dopo arrivino gli allarmi per il crimine? La spiegazione non sta negli appalti e la soluzione del problema, quindi, sta solo marginalmente nelle regole del gioco – codice degli appalti compreso – ma soprattutto nel modo in cui (non) funziona il nostro sistema di diritto. Qualsiasi testo resterà lettera morta, producendo morte degli investimenti, se non si guarda a quel sistema.

Le regole possono essere più o meno appropriate e ragionevoli. Corruzione e malaffare, del resto, non possono essere cancellati dalla storia, non c’è alcun modo di debellarli del tutto e infatti esistono ovunque (con i dispotismi imparagonabilmente più corrotti delle democrazie, con la differenza che nelle seconde se ne parla e nei primi è vietato). Il congegno funziona se comunque delle regole sono fissate, possibilmente chiare e rispettabili, talché ove taluno sia sospettato di averle infrante sia condotto davanti a un giudice, il quale assolverà se l’accusa è infondata e condannerà a giusta pena ove sia dimostrata. Concettualmente è un meccanismo facile. Il difficile, da noi, è trovare il giudice. Il giudizio arriva a babbo morto e opera mai realizzata, lungamente bloccata e spesa lievitata. Nel frattempo è andato in scena il solito e incivile spettacolo dell’accusa, i sospettati sono stati indicati al pubblico disprezzo, sicché i soli determinati a concludere comunque l’affare sono i male intenzionati, che del pubblico disprezzo se ne fregano, mentre i bene intenzionati si chiedono per quale ragione debbano giocarsi la reputazione. In questa palude chiunque abbia perso una gara farà ricorso, chiunque debba esprimere un parere lo renderà sgusciante, chiunque debba mettere una firma sarà preso dai crampi. Per rimediare, allora, s’inventano controlli preventivi e autorità etiche che peggiorano la situazione, moltiplicano i ritardi e non prevengono un bel niente.

Se il governo, come ha fatto a Cutro, deroga e sospende, ammette che con le regole esistenti non si può fare nulla. Se inventa scudi per i sindaci che firmano va a finire che favorisce anche i lestofanti, se per loro li esclude allora non si fideranno gli altri. E nessuna regola potrà mai funzionare se mentre la partita è in corso l’arbitro è in bagno. Un Paese senza giustizia non riesce a far le cose giuste. Il nuovo codice, naturalmente, non cambia il sistema e mantiene in vita la pretesa preventiva. La prima cosa non è di sua competenza, la seconda può indurlo a precoce senescenza.

Davide Giacalone, La Ragione 28 marzo 2023

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