Bene collaborare, meno nello sbagliare. Si finisce con il trasformare un successo in un regresso. Conta la realtà: nelle ore in cui si concludeva il Consiglio europeo la Russia scatenava un nuovo e massiccio attacco missilistico. Putin non conosce e riconosce altra strada che quella del massacro, non lascia margini ad alcun negoziato. L’Unione europea ha preso diverse iniziative per aprire una via diplomatica, tutte respinte. Se non c’è la possibilità di negoziare l’Ucraina deve vincere. Questa è la partita. Sono stati commessi tre errori, ci si è trovati a errare insieme, ma insieme si continuerà ad essere erranti, assieme in cammino. I tre errori sono poca cosa rispetto al rinnovato successo: l’Occidente e l’Ue restano compatti, al fianco degli aggrediti.
La decisione di inviare armi all’Ucraina è caldeggiata e condivisa dalle istituzioni dell’Unione, ma è una decisione nazionale. Ciascuno decide per le proprie armi, senza vincoli esterni. Il che comporta delle differenze, anche perché diversi sono i rispettivi arsenali, e può portare a un coordinamento a geometria variabile. E, del resto, quando i leaders di Francia, Germania e Italia andarono assieme a Kiev, in treno, 24 capi di Stato o governo erano assenti. Non per questo “esclusi”. Per Meloni lamentare il mancato invito ad un incontro, all’Eliseo, è stato un errore. Poche ore prima i ministri della difesa di Francia e Italia avevano concordato il da farsi. Se il tedesco si fosse sentito “escluso” avrebbe sbagliato.
Un errore lo ha commesso anche il presidente francese, Macron. Era ragionevole che Zelensky vedesse separatamente il capo del governo britannico, essendo un importante fornitore di aiuti ed esterno all’Ue. Era anche ragionevole che incontrasse le guide di Francia e Germania, che forniscono armi che altri non inviano. Ma non è ragionevole che a un rilievo (sbagliato) Macron risponda che c’è un ruolo speciale di Francia e Germania, perché conosciamo la storia, conosciamo i numeri, ma dentro l’Ue non sono previste specialità. E siccome Macron è fra i più europeisti dei governanti europei, non gli sarà difficile riconoscere l’errore.
Un terzo errore lo ha commesso Zelensky, che in quanto invitato poteva tenersi fuori dalla polemica sugli inviti, ma ha voluto dire che con Macron e Scholz sono stati discussi temi di cui non si può parlare. Allora non lo dire. Perché questo non sposterà di un capello la posizione italiana o di altri europei, ma rischi e costi li corriamo e sosteniamo tutti, sicché ci sono le sedi adatte per parlare senza comiziare.
Questo tris è stato mal giocato, ma resta roba da poco rispetto allo scenario: fin qui si è aiutata l’Ucraina a resistere all’invasione e le armi sono servite ad evitare una vittoria russa (che per ciò stesso ha perso) e lasciare lo spazio ai negoziati, ma se i negoziati vengono esclusi dall’aggressore allora le armi non serviranno più solo a difendersi, ma a vincere. Lo ha capito bene un vecchio conoscitore del mondo, Kissinger, che stupisce sempre per la lucidità e non si smentisce mai in quanto a realismo. Ma questo porta anche a potere considerare l’attacco ucraino alla Crimea, cosa di cui scrive Lenzi a pagina quattro. Stiamo parlando di un passaggio destinato a segnare la storia dei decenni a venire. Chi se ne frega dell’invito, dell’errore e della replica.
Non c’è alternativa sensata al procedere assieme, come europei. C’è una convenienza politica ed economica a farlo integrando le difese e le industrie per la difesa. Non ci sono schieramenti alternativi in Ue (non i Paesi di Visegrad, visto che Polonia e Ungheria sono agli antipodi). Può esserci il rattrappimento nelle propagande vernacolari, fatte da crestuti che credono d’essere galli e sono invece polli.
Ciascuno rappresenta idee e interessi. È normale. I guai cominciano quando ciascuno vuol far vedere che sta rappresentando determinate idee o interessi. A quel punto non mira più al risultato, ma alla rappresentazione. Che sarà quella di un fallimento.
Davide Giacalone, La Ragione 11 febbraio 2023