Il commento di oggi

Colabrodo

giacalone editoriale 8 mar

Più che temere il sovvertimento, avvertiamo il disfacimento. Il procuratore nazionale antimafia ha sostenuto che la quantità e la sistematicità degli accessi alle banche dati riservate sono tali che ben difficilmente può trattarsi di iniziative individuali. Ci devono essere un mandante e un disegno, ma non sa quali. Il capo della Procura di Perugia, incaricato delle indagini, il giorno appresso – sempre rivolgendosi alla Commissione parlamentare antimafia – ha detto che gli accessi sono ben più numerosi di quello che si crede e che sono «mostruosi e inquietanti».

Il tutto parte da una denuncia fatta da Guido Crosetto, ministro della Difesa, mentre vari esponenti parlamentari e governativi denunciano l’estrema gravità dei fatti e reclamano di sapere chi sia il mandante. Ma a chi lo chiedono? La settimana scorsa pareva fosse lesa onorabilità far osservare che qualcuno potesse avere manganellato a sproposito dei minorenni, invocando accoratamente che non si delegittimi chi indossa la divisa, mentre qualche ora dopo non si esita a indicare in una o più divise dei sovvertitori dell’ordine democratico, salvo chiedere di conoscerne i mandanti. Singolare.

Il procuratore antimafia e quello che indaga dipingono sfondi oscuri e trame buie, mentre chi governa si dichiara vittima e invoca la luce sull’ordito sovversivo. Sembrano non essere sfiorati dall’idea che a rimediare dovrebbero essere loro.

Sarò ingenuo, ma più che la trama mi colpisce la smagliatura. Anche un peracottaro può essere pericoloso, specie se associato a suoi simili, ma l’elenco degli spiati – largamente incompleto, parrebbe – è tale da suggerire affreschi fangosi, più che disegni politici. Certo che vanno accertate la natura e le finalità di quegli accessi, ma limitarsi a quelli è come concentrarsi su quanti, politici e magistrati, si vedono a una cena o si riuniscono a Piazzale Ungheria, laddove il tema vero è la realtà correntizia e spartitoria, il mercanteggiamento di bestiame che accompagna le decisioni del Consiglio superiore della magistratura. Le cene sono dettagli coloriti, ma la sostanza è l’altra. Cosa che so senza alcun bisogno di attendere l’esito di indagini che si candidano a essere senza esito.

Se Melillo e Cantone (i due procuratori auditi) hanno lanciato allarmi reali, il tema è che si possono fare indagini anche a scopo privato e che la sicurezza delle banche dati sensibili è un colabrodo. E la soluzione a questo problema spetta a chi legifera e governa: che deve darla, non chiederla. In Parlamento hanno fra i colleghi chi era a capo dell’antimafia all’epoca degli accessi contestati, chiedano suggerimenti.

Crosetto ha fatto bene a denunciare, ma se si deve aspettare la sua denuncia per buttare un occhio sul mostruoso e inquietante è segno che i controlli sugli accessi sono una fetecchia. Siccome è bene che esistano raccolte di dati sensibili, anche molto sensibili, perché ciò ha a che vedere con la sicurezza nazionale, ne deriva che non solo deve potere accedere soltanto chi è responsabile di ciascun accesso, ma che deve esistere un centro di controllo che costantemente interroga quanti accedono per riscontrare la rispondenza fra l’ordine ricevuto, l’indagine effettuata e il dato scaricato. Altrimenti finisce che il cornuto cerca il pelo di chi gli violò il coniuge. O ci cerca i cavoli di un cantante. Poi ci cerca quelli di un politico e lo nobilitano a tessitore di trame, così dimostrando poca stoffa da statisti perché le cose più pericolose sono quelle sul cantante e sul cornificatore, giacché quelle dimostrano l’uso privato dei dati prelevati. Tanto più che poi li si passa pure a giornalisti, quelli adusi al coraggioso e servile ‘copia e incolla’, la cui carriera andrebbe separata da quella dei procuratori e della polizia giudiziaria.

Non so fra quanti anni si farà un processo e neanche se si farà. Quel che è evidente è che si deve rimediare oggi stesso, che domani è già tardi. E va fatto cambiando il sistema. E crepa che si sia sentita una parola, su questo.

Davide Giacalone, La Ragione 8 marzo 2024

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