Mettere un dazio, ovvero un ostacolo alla libera concorrenza, ha un senso in due casi: a. quando si ha interesse a bloccare i traffici con un’area o un Paese che si ritengono ostili; b. quando si bilancia una concorrenza sleale, alimentata dai contributi statali nel Paese produttore. Del resto, fornire delle agevolazioni fiscali ha un senso quando s’intende promuovere un consumo che genera minori diseconomie collaterali – come ad esempio meno inquinamento – e quando s’intende favorire un salto tecnologico che pure sconta una minore convenienza immediata.
Quel che risulta meno comprensibile è mettere dei dazi all’importazione di beni che, contemporaneamente, si prova a favorire fiscalmente. In questo caso il consumatore finale si vede sottratta una convenienza e il contribuente si vede sommato un costo. Se poi, sempre contemporaneamente, i produttori nazionali – in questo caso europei – provano a trarre profitto dalla commercializzazione di prodotti importati e sottoposti a dazio, la confusione diventa totale. Ed è un po’ quel che sta succedendo nel settore delle vetture elettriche e delle importazioni dalla Cina. Una confusione che produce azioni contraddittorie ed è originata dalla mancanza di una visione d’insieme e dall’individuazione di quale sarebbe l’interesse principale da tutelare.
Non si deve avere paura di tutelare un interesse particolare, facendolo in modo trasparente. Si deve avere paura dell’adottare dazi e agevolazioni senza averlo individuato.
Davide Giacalone, La Ragione 13 giugno 2024