Si fa ricorrentemente il paragone con la guerra. Si dice che, ora come allora, si deve essere capaci di ripartire. Ogni anno, in occasione dell’anniversario della Liberazione, si lanciano appelli all’unità e si constata la disunità, quest’anno, appunto, s’è aggiunto il parallelo della necessaria riscossa. Credo sia sbagliato, ma con un importante fondo di verità.
La retorica mal si concilia con la lucidità. L’Italia non ha mai fatto veramente i conti con la propria storia. Nel 1945 l’Italia non era unita, all’opposto era in guerra civile. Ci fu la Liberazione dall’occupazione, che era nazista. Ma l’occupante era l’ex alleato dell’intera Italia e lo restava degli italiani che ancora si riconoscevano nel governo precedente. Fu Liberazione anche da noi stessi e dalla nostra stessa storia. Volerlo cancellare induce equivoci che poi generano infezioni. Non solo della memoria.
Oltre a ciò l’Italia era distrutta. Materialmente e moralmente. In guerra dalla parte sbagliata. Occupata da entrambe i contendenti. Appena passato l’8 settembre del ’43, con la dissoluzione dello Stato. Sistema produttivo azzerato. Oggi non c’è nulla di tutto questo. Grazie al cielo. Il virus ci ha colpiti duramente, ma non abbiamo colpe. Non ci siamo mai fermati e si è dimostrato che siamo collettività disciplinata e solidale. Una brutta botta, certo, ma niente guerra, niente vergogna, niente macerie.
C’è, però, una verità, in quel parallelo: allora fu chiaro che non c’era un passato da recuperare, ma solo un futuro da costruire, allora questa fu consapevolezza generale, al di là delle divisioni politiche (che c’erano, eccome). Essere consapevoli è un punto di forza. E su questo sì, sarebbe bene ritrovare realismo, volontà e speranze di allora. Senza piangersi addosso, che serve a nulla.
DG, 4 maggio 2020