Quando la pandemia è scoppiata più d’uno ha lamentato l’assenza dell’Unione europea. Lamentela mal riposta, perché l’intervento era stato tempestivo e decisivo, sia nella sospensione delle regole di bilancio che nel sostegno ai debiti nazionali. La stessa cosa non era avvenuta sul piano sanitario, ma la ragione è semplice: non si tratta di materia assegnata all’Ue, ma di competenza nazionale. Da noi, per giunta, di competenza regionale. Poi le cose sono cambiate e dobbiamo trarne delle lezioni.
Intanto nel non confondere le idee ai cittadini europei. Esempio: la politica estera non è materia dell’Unione, ma nazionale, eppure esiste un alto commissario alla politica estera, ma, allora, c’è o non c’è? C’è il commissario, alto, ma non la politica. Così si totalizza il massimo del danno: non si fa politica estera dell’Ue, ma tutti possono criticare l’assenza di quella politica, perché era stata promessa a chiacchiere e incarichi.
In campo sanitario qualche cosa di simile. Ma il Covid ha cambiato la realtà, perché gli Stati membri hanno assegnato alla Commissione il compito di acquistare i vaccini per tutti. E quelli che poi hanno fatto finta di provvedere da soli si son trovati nei guai. Ora si pensa di fare la stessa cosa con i farmaci per curare il Covid, che essendo molto costosi è conveniente acquistarli unitariamente. Bene, ma si stia attenti a due possibili errori: a. far credere che esiste quel che non esiste; b. se si lavora per crearlo (evviva) non si sovrapponga alle strutture nazionali, come capita alle agenzie per i farmaci, altrimenti si rischia di complicare anziché semplificare, di aumentare anziché diminuire la burocrazia.
Sono per integrare. È ben possibile pensarla diversamente. Quel che non si può fare è tenersi a metà, duplicando, illudendo e complicando.
DG, 29 maggio 2021