Ci sono temi e questioni in cui la politica non può cavarsela a parole. Del porre volontariamente fine a una vita non vivibile ci siamo già occupati nel febbraio scorso. Non è successo nulla
Del porre volontariamente fine a una vita non vivibile ci siamo già occupati nel febbraio scorso. Non è successo nulla, segnalando il trapasso morale del Parlamento. È di questa vita non vitale che siamo chiamati a occuparci, perché ci sono temi e questioni in cui la politica non può cavarsela a parole.
I criteri del fine vita legittimamente praticato – in capo a persone perfettamente in grado d’intendere, ma impossibilitate a volere – sono stati fissati dalla Corte costituzionale nel 2019. S’è dovuto provvedere lì perché il Parlamento era fermo. La Corte, nel sottolineare l’urgenza di una legge (che ancora non c’è), stabilì che possa accedere alla morte assistita chi: sia lucidamente in grado di volerlo e manifestarlo; si trovi in una condizione medica senza ritorno; aggiunga a questo sofferenze notevoli e inutili. Il primo passo, quindi, dopo la richiesta dell’interessato, consiste in una commissione medica che ne accerti le reali condizioni. Che la si chiami “commissione etica” già dimostra l’incapacità e il cortocircuito sulle sue competenze e possibilità: non deve discernere fra il bene e il male, fra il giusto e l’ingiusto, ma solo e soltanto accertare la coerenza con i tre paletti della sentenza costituzionale.
In questo momento inutilmente soffre un nostro concittadino. O, meglio, di lui sappiamo perché ha voluto renderlo noto. Che sia il solo ne dubitiamo. Comunque, dopo quella sentenza egli decide di ricorrere all’assistenza sanitaria per porre fine al dolore senza speranza. La “commissione etica” prende in esame il caso e constata la triste presenza di tutti e tre i parametri. Ma omette di fare due cose: la prima è comunicarlo all’interessato, che solo dopo avere protestato – dopo quaranta giorni dicasi quaranta – ne apprende il contenuto; la seconda è indicare quali farmaci e in che modalità somministrarli. Quindi tutto si ferma, lasciando scappare l’etica e abbracciando l’orrore. A questo punto l’interessato, che non ce la fa più, ha intenzione di scegliere la sedazione profonda, con sospensione dell’idratazione e della nutrizione, per giungere alla morte. Solo che, in quel mondo, potrebbe durare ore o giorni. Per chi gli sta attorno uno strazio lento. Per lui che abita quel corpo morto non sappiamo. Non lo sappiamo cosa sia il nulla sedato, se l’arrivo del decesso incosciente sia nulla o no.
Tutto ciò perché manca una legge. Che anziché essere preparata nel rispetto, nel pragmatismo, nel serrato e cosciente lavoro, la si lascia a marinare in Senato, dopo l’approvazione alla Camera. Langue perché, dicono, il tema è divisivo? Il fatto è che la destra crede sia di destra sostenere che la vita sia sempre sacra, anche quando dissacrata dalla sofferenza inutile, mentre la sinistra crede sia di sinistra sostenere che la morte sia un diritto e una conquista, elencandola con cose che non c’entrano nulla. Nel mentre un comitato referendario raccoglie le firme per far decidere l’impossibile agli italiani (i referendum popolari sono abrogativi, cancellano e non creano), ma lo fa con un quesito mal concepito che s’incentra sulla volontà manifestata e così aprendo la via a possibili abusi. Diventa, insomma, una bandiera politica, che garrisce al vento dell’inconcludenza.
Certo che è una materia sensibile. Accipicchia se lo è. Ed è una materia difficile, un duro cimento per il cuore e per la mente. Ma va affrontato e si decide votando: chi non condividerà il modo in cui si regolamenterà quel che è già assodato sia consentito, incasserà una dignitosa sconfitta, senza accedere al disonore d’avere bloccato il legislatore. Meglio il compromesso, ma se non si riesce si vota. Se qualcuno vorrà sostenere che una divisione su quel tema comporti una divisione nella maggioranza di governo avrà piena legittimità per farlo. Noi ne dedurremo che era già morta. O popolata da anime morte.
Davide Giacalone, La Ragione 8 giugno 2022