Il commento di oggi

Flatulenze

giacalone editoriale 22 nov

L’approccio in voga, per le questioni ambientali, è di tipo penitenziale. Una penitenza collettiva, per avere troppo consumato, o una penitenza societaria, per avere troppo guadagnato. Taluni ambientalisti non hanno dubbi: le multinazionali che più inquinano devono essere chiamate a pagare il danno fatto alla collettività. Sembrerebbe anche avere un senso, salvo il fatto che se un’impresa è molto cresciuta vuol dire che i suoi prodotti sono molto apprezzati e richiesti, sicché la separazione fra il produttore e il consumatore è meno semplice di quel che si vuol far credere. Per capirlo meglio ci si può rivolgere alle flatulenze.

La Danimarca ha adottato una flatulence tax, ovvero una maggiore tassazione specifica per la produzione di carbonio nelle attività agricole e di allevamento: costerà, a partire dal 2030, 43 dollari per ogni tonnellata di CO2 equivalente. In Unione europea esistono già delle norme che puntano a limitare l’impatto inquinante di queste attività, ad esempio stabilendo un rapporto fra i capi allevati e il terreno disponibile. Norme solitamente vissute come fissazioni oltraggiose dei “burocrati di Bruxelles” ma che in realtà, come i limiti allo sfruttamento delle risorse naturali, sono conosciute e praticate fin dalla notte dei tempi. Solo che l’agricoltura e gli allevamenti, grazie ai salti tecnologici, sono divenuti assai più potenti e capaci di produzioni enormemente superiori rispetto al passato. Al tempo stesso ai soli allevamenti dobbiamo l’immissione nell’atmosfera dell’11% dei gas climalteranti. Ergo, applicando il meccanismo di cui sopra, è ora che paghino e non continuino a danneggiare la collettività. Sicuri?

Gli allevamenti intensivi sono sì una bomba ecologica (a tacere della condizione degli animali), ma sono anche lo strumento grazie al quale tutti abbiamo potuto mangiare la carne. Sono ancora vivente e la mia è la generazione che – per prima in modo diffuso – vide arrivare la ‘fettina’ in tavola, una volta la settimana. Ora si suggerisce di non mangiarne troppa, di carne. Né per l’ambiente né per la dieta è bene tornare alla penuria. E se una maggiore tassazione ha effetti trascurabili su chi mangia la carne più costosa –magari quella delle mucche che vengono massaggiate ogni giorno e sono le sole felici di andare al macello e togliersi dalle terga il maniaco – potrebbe avere effetti deleteri su chi ha minore capacità di spesa. Senza contare che agricoltori e allevatori non fanno che lamentarsi, ma i loro sono da decenni i settori più sussidiati nell’Ue.

Una logica penitenziale e tassativa è perdente in partenza, ma questo non significa che ci si debba rassegnare all’impatto ambientale. Serve un approccio evolutivo, che comporta dei vincoli e promette più e non meno ciccia e ricchezza. La carne coltivata promette impatto ambientale basso e capacità produttiva alta: si tratta di capirla e sperimentarla, senza proibirla a prescindere. Le coltivazioni geneticamente modificate (come quelle dei mangimi che già da anni nutrono gli allevamenti, ma che stupidamente compriamo all’estero perché proibiamo di produrli in Italia) consentono di ridurre moltissimo il consumo d’acqua, così come le nuove tecnologie produttive d’irrigazione delle radici. Un minore consumo di antibiotici consente un riuso energetico delle deiezioni animali. Qui mi fermo perché le possibilità sono numerose e ciascuna ha un contenuto di ricerca, innovazione e ricchezza.

Quanti hanno a cuore gli equilibri ambientali farebbero bene ad abbandonare in fretta le avversità all’industria e alla ricchezza, piantandola con un’idea bucolica e agropastorale che non hanno mai conosciuto e che quando era la realtà non piaceva punto a chi era costretto a viverla, rivolgendo non soltanto il proprio pensiero ma anche la propria battaglia verso la ricerca e l’innovazione – dalle coltivazioni alle batterie – perché è da quella parte che il sole può veramente ridere senza deriderci. Puntare solo sulla tassazione delle flatulenze farebbe tirare una brutta aria.

Davide Giacalone, La Ragione 22 novembre 2024

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