Il negoziato per ottenere la liberazione di Cecilia Sala è necessariamente sporco, perché sporco è il ricatto messo in atto dalla liberticida teocrazia iraniana. Se altri creano situazioni sporche la virtù non consiste nel ritrarsene, ma nell’affrontarle, anche affondando le mani nel torbido, senza creare altra sporcizia. Non è facile, ma è il compito di chi governa.
Non si può concedere la liberazione immediata di Mohammad Abedini Najafabadi, richiesta dagli iraniani in modo così vociante e scomposto da lasciare il dubbio che vogliano avvalorare il suo ruolo apicale e decisivo, nel commercio illecito di tecnologia militare, o certificare che altri siano i loro timori, magari fondati sul sospetto che egli possa collaborare con le democrazie e la nostra giustizia. Non ha alcun senso sostenere che le accuse rivoltegli sono infondate, perché dalle nostre parti non lo si considera già colpevole di qualche cosa, ma gli sono state mosse contestazioni specifiche, che giustificano la detenzione cautelare e che saranno sottoposte al vaglio di giudici terzi. Nulla di paragonabile a quel che capita alla nostra concittadina, cui ancora non è stata comunicata neanche la ragione della detenzione, accampando una generica violazione delle leggi, quindi a libera scelta fra qualche centinaio di potenziali reati.
Nel mentre speriamo che Sala sia presto fuori da questo incubo intendiamo tenerci fuori dalla sala in cui si spera che qualcuno sia in grado di negoziare. Anche tenendo conto delle divisioni profonde esistenti all’interno del regime iraniano. Nel mondo libero l’informazione deve potere scandagliare ogni anfratto, ma deve tenere presenti anche le proprie responsabilità. E questo non è il momento di rendere più difficili le cose.
Posto ciò sarà bene che nessuno dimentichi quel che non è stato abbastanza chiarito alla nostra opinione pubblica: stiamo parlando di uno Stato canaglia; che si è alleato con Putin e gli fornisce armi; che addestra, sostiene ed arma i nemici di Israele; che è una delle testate multiple con cui si prova a far saltare l’ordine mondiale che ha assicurato pace e sviluppo economico; che conduce le sue guerre anche mediante l’uso di mercenari fanatizzati. Ciò che capita in questi giorni è un pezzo delle guerre coordinate e concatenate, dall’invasione dell’Ucraina alla macelleria praticata da Hamas sugli ebrei, che hanno come obiettivo da abbatere l’Occidente. Cioè noi.
Un regime che ha incarcerato decine di giornalisti, che contro chi fa quel mestiere ha avviato centinaia di procedimenti penali, che ha condannato a pene detentive più che decennali chi ha raccontato la sorte toccata a Mahsa Jina Amini, massacrata da forsennati chiamati “polizia morale”, che ammazza gli omosessuali. Quello di Mahsa è solo un caso trapelato oltre il muro della censura e dell’omertà, tutti gli altri restando sconosciuti agli abitanti del mondo libero. Cioè noi. Eppure nessuno di noi può ignorare la terrificante condizione di vita delle donne iraniane, cui si aggiunge quella degli uomini che non condividono e sopportano la dittatura che bestemmia la sua stessa divinità. Perché mettere in atto quelle condotte in nome di una divinità significa bestemmiarla.
Tutto questo lo sapevamo già prima e si dovrà tenerlo a mente dopo. Calandolo nella storia, temperandolo con la convenienza, relativizzando quello che vi pare ma ricordando che è su quel che succede in Iran agli iraniani che si devono tenere fermi i principi. Che ci riguardano direttamente e non solo quando una nostra concittadina ne subisce le conseguenze. Ma, diciamoci le cose come stanno, è più comodo dimenticare, tapparsi gli occhi. Il patriarcato è bello evocarlo quando serve a condannare il nostro modo di vivere, che sia fondata l’accusa o sia mera fanfaluca retorica, mentre il maschilismo assassino dei nemici dell’Occidente, i sopraffattori violentatori antioccidentali, quelli vanno capiti. E no, questo modo di pensare, questa assenza nel protestare, non è comprensibile: è esecrabile.
Davide Giacalone, La Ragione 5 gennaio 2025