La rete Tim non è più di Tim, essendo stata venduta al fondo statunitense Kkr. Forse qualcuno ricorderà le tonitruanti premesse di inizio legislatura: «Non venderemo mai i gioielli di famiglia». Eco delle precedenti proteste. Quella rete, però, non era più un gioiello e non stava nemmeno in famiglia, visto che lo zio ex comunista se l’era già venduta a chi per comprarla ha indebitato la società scalata (Telecom), così schiantando quella che fu una florida multinazionale italiana.
È andata così. Ma perché a sostenere finanziariamente il fondo americano ci devono essere soldi istituzionali italiani? Il presidio dell’interesse nazionale, il rispetto della legge e l’operatività della rete devono essere garantiti dal legislatore e dal controllore, mentre i soldi di Cassa depositi e prestiti e di F2i sono l’oneroso fossile di un mondo perso per sempre.
Viviamo in arretratezza digitale e con una rete smagliata. Si deve costringere l’acquirente a investire, non a parlare con soci gingilli.
Davide Giacalone, La Ragione 3 luglio 2024