Il commento di oggi

Grandi

editoriale giacalone 23 novembre 2023

La firma dell’Action Plan, dell’intesa fra la Germania e l’Italia, non modifica di molto il quadro nel quale si muovono le relazioni europee e neanche quello dei rapporti bilaterali. Stabilire che i ministri degli Esteri e della Difesa si vedranno un paio di volte l’anno e una i capi dei rispettivi governi, non è una gran cosa, visto che già oggi s’incontrano più spesso. Ma non si sottovaluti la firma di ieri, giacché ha una grande rilevanza proprio nel suo essere una conferma. È importante per l’Italia ed è importante per la presidente del Consiglio.

A parte le tante cose strampalate che ci è toccato sentire e che sentiremo ancora, a parte le sparacchiate sull’uscita dall’euro, le adorazioni putinofile e le firme in calce alle cineserie, nessuno – sano di mente – ha mai dubitato su quale sia la collocazione internazionale dell’Italia: dentro l’Unione europea e dentro l’Alleanza Atlantica. Tanto che gli sparacchiatori di cui sopra siedono in governi (plurale) che ribadiscono quella posizione. Ma la questione, oggi, non è fare i conti con le bischerate sostenute, bensì con le sfide future dell’Unione europea. E qui c’è il primo nodo che si lega alla grandezza. Per popolazione ed economia i grandi Paesi europei sono tre: Francia, Germania e Italia. Hanno caratteristiche e interessi diversi, com’è naturale che sia, ma hanno il comune interesse a mantenere il proprio peso in una Ue divenuta grande e che crescerà ancora. Ciò non toglie nulla al ruolo di tutti gli altri componenti, ma la rilevanza dei numeri non può essere ignorata.

L’Italia ha molti problemi economici e di bilancio. Il più rilevante è un esorbitante debito pubblico, che ci mozza il respiro. Ma l’Italia non potrà essere esclusa dal club dei grandi – ed è la seconda grandezza da tenere in considerazione – non tanto perché sia uno dei Paesi fondatori sia dell’Ue che della Nato, ma perché ha una grande forza industriale. E quella forza è assai integrata con la Germania.

Marco Fortis e la Fondazione Edison hanno il merito di tenere alta l’attenzione sui nostri punti di forza. Da ultimo si è ricordato che il Trade Performance Index (elaborato dall’International Trade Center e che misura la competitività) segnala che l’Italia è fra i primi cinque, nel mondo e riguardo a 1.526 manufatti, per bilancia commerciale. Se si sommano le nostre posizioni di vertice (primo, secondo e terzo posto) nell’insieme dei settori esaminati da quell’indice, abbiamo ben 14 posizioni di primato, superati soltanto dalla Germania e dalla Cina. Questa roba conta, chiunque governi. E se sa governare la utilizza per farla crescere, non per pavoneggiarsi con meriti non suoi. Questa roba esiste perché siamo campioni di produzioni ed esportazioni, quindi l’opposto di ottusi nazionalisti masochisticamente protezionisti.

Faremmo meglio a chiederci come si faccia ad avere quelle posizioni e, al tempo stesso, avere la più bassa partecipazione europea al lavoro, discutendo perennemente di miseria. E a risponderci che finché si continuerà a pensare che la spesa pubblica serve a consolare ed esonerare anziché a preparare e accompagnare verso la produzione, finché la si userà per comprare il passato anziché pensare al futuro, saremo grandi dilapidatori della nostra stessa ricchezza.

Ma la firma di ieri suggerisce una terza grandezza, da agguantare. Si può maramaldeggiare osservando che il governo Meloni non somiglia molto alla sua propaganda. Che il pappa e ciccia con gli ungheresi – a voler tacere degli amori per le destre antieuropeiste – e le firme con i tedeschi sono cose distanti. Ma anziché punzecchiare ce ne dobbiamo compiacere. Se i governanti odierni divengono grandi, nel senso di adulti e responsabili, è soltanto un bene. Si deve aiutarli a rimangiarsi le parole d’ordine e, ad esempio, a ratificare la riforma del Mes, non ostacolarli. Ne va del nostro interesse collettivo e ne va del rischio che anche la sinistra diventi (ove non lo sia di già) come la destra: sparazzatrice di corbellerie per centrare le tifoserie.

Davide Giacalone, La Ragione 23 novembre 2023

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