Si rimprovera ai politici, da noi e in ogni democrazia, la continua ricerca del consenso. Che sebbene può raggiungere livelli parossistici e comici, resta una buona caratteristica della libertà praticata nel diritto: il potere trova legittimità nel consenso. Può capitare, ed è un guaio, che corteggiando le maggioranze si trascurino le minoranze. Ma può capitare di peggio, che è il male italiano: si prova a costruire le maggioranza affastellando minoranze corporative, con il risultato che si perde di vista l’interesse generale.
I tassisti sono pochi, i passeggeri molti di più. I balneari sono pochi, i bagnanti molti di più. Il numero non deve comportare una violazione dei legittimi interessi, tutelati dalla legge. Ma la capacità di bloccare (tipo scioperi Taxi) non può tenere in ostaggio un bene generale. Il blocco conservatore delle rendite, coagulato attorno ai balneari, ha impoverito l’offerta turistica e danneggiato i cittadini che vanno in spiaggia, oltre che i contribuenti con i mancati introiti. Da lustri le nostre città hanno meno Taxi del necessario, spesso con vetture scassate, mentre in stazioni e aeroporti la cosa più importante non è che i clienti siano velocemente condotti dove desiderano, ma che i tassisti non si freghino fra di loro nella coda. Il che impoverisce tutti.
Se i partiti rincorrono le minoranze e dimenticano gli interessi delle maggioranze una ragione c’è: nessuno di noi sembra sentirsi bagnante o passeggero, nessuno sembra credere nell’interesse collettivo, mentre ciascuno si mobilità per il proprio interesse particolare, disinteressandosi degli altri che fanno altrettanto. Si rimane indietro perché non si crede si possa convenientemente andare avanti. Ci si impoverisce perché non si coglie il valore dell’avere un comune interesse, non corporativo. E i partiti così sommano minoranze, prendendo consensi inconciliabili fra loro, divenendo incapaci poi di governare.
L’informazione potrebbe svolgere un ruolo, ma predilige quello della lamentazione furbesca. Basti guardare la vicenda della cassa giornalisti (Inpgi), di cui nessuno parla: mandata in bancarotta per andare in pensione prima e per alleggerire i conti di imprese scassate (ma capaci di far pressioni), infine messa sul groppone dell’Inps. Vergognoso. Ma non se ne legge e neanche ci si indigna, semmai si chiede: anche noi (chiunque si sia) vogliamo lo stesso. Così i meno vanno sul conto dei più, supponendo non esista mai un conto collettivo.
Il guasto è morale, prima che contabile.
Davide Giacalone, La Ragione 5 luglio 2022