Il commento di oggi

InSanità

editoriale Giacalone 3 aprile

Sanità o InSanità pubblica: proviamo a fare chiarezza sull’argomento partendo dai dati e sfatando antichi e nefasti preconcetti.

Venerdì un giovane gommista ha un incidente sul lavoro e una scheggia gli si conficca nella coscia, a tre centimetri di profondità. Il datore di lavoro lo accompagna al Pronto soccorso, dove gli dicono: adesso non possiamo intervenire, torni dopo Pasqua. Da Vibo Valentia i due passano ad altre tre strutture sanitarie, ma a quel punto s’è fatta notte. Sabato mattina arriva il chirurgo e prescrive antitetanica e antibiotici, rinviando l’intervento a dopo le festività. A meno che la ferita non s’infetti, nel qual caso – aggiunge – sarebbero intervenuti. I dolori si fanno lancinanti e il lunedì lo portano a Catanzaro, dove l’intervento viene programmato per il giorno successivo. Ieri. In una Regione in cui la sanità è commissariata da quasi tre lustri. È da qui che si deve partire per leggere assennatamente i dati contenuti in una relazione della Corte dei conti.

Ci sono tre parametri da tenere presenti e, per semplicità, da mettere a confronto con quelli di Francia e Germania (presi non a caso, ma perché siamo i Paesi più popolosi e più ricchi dell’Unione europea). La spesa pubblica sanitaria italiana è pari al 6,8% del Prodotto interno lordo, in Francia è al 10,3% e in Germania al 10,9%. Questo però non significa che in Italia si spenda drammaticamente meno, perché da noi la spesa privata – quella delle famiglie – copre il 21,4% del totale, mentre in Francia l’8,9% e in Germania l’11%. Ultimo parametro: fra il 2016 e il 2022 (per chi se ne fosse dimenticato, nel mezzo c’è la pandemia) la spesa italiana sale del 6,6%, mentre quella francese del 24,8% e quella tedesca del 25%.

Quando il governo Meloni afferma di avere stanziato cifre pari a una spesa sanitaria mai raggiunta in passato dice il vero. Solo che era vero anche prima del governo Meloni, visto che la spesa sanitaria in valore assoluto è sempre cresciuta e, quindi, ogni anno si spende più di quanto si sia mai speso nel passato. Ma con una scheggia nella coscia ti dicono di passare dopo Pasqua. Intanto: auguri. Questo è il problema.

E prima di spingerci oltre sarà il caso di ricordare che l’assistenza sanitaria italiana è buona, con punte di eccellenza. Purtroppo esistono casi di malasanità, ma da nessuna parte sono scomparsi. Essere consapevoli di avere buoni medici e buone strutture è importante per capire dove si spalancano le porte dell’assurdo e della tragedia, altrimenti si cade nell’errore di dire che va tutto male e, quindi, fare da alibi a dove vanno pessimamente.

Il nostro modello dei sistemi sanitari regionali è una schifezza, che finisce con il tenere dentro uno stesso universo cose ragguardevoli e cose riprovevoli, spesa che genera salute e spesa che genera debiti. Supporre di risolvere la faccenda aumentando la spesa pubblica – magari portandola ai livelli di Francia e Germania – non è affatto detto sia assennato. Pensare di risolvere puntando a rendere ancora più regionali i sistemi sanitari (salvo stabilire per legge i Lea, ovvero i Livelli essenziali di assistenza) significa commettere lo stesso errore di chi vuole comporre le classi scolastiche partendo dalle percentuali massime di stranieri, anziché partire dalle percentuali delle iscrizioni a scuola: una solenne cretinata, concepita con l’idea che se scrivo una cosa nella legge poi cambia anche la realtà.

E senza mai dimenticare che noi siamo i soli che spendono l’8% del Pil per finanziare il debito pubblico, che si pensa pure sia risolutivo farlo crescere anziché provare ad abbatterlo. Un delirio innescato dal ragionare sempre sui soldi a disposizione – in un Paese che ne ha più di quelli che riesce a investire e sempre mai abbastanza da dilapidare nella spesa corrente – piuttosto che sulla riorganizzazione della spesa, con il controllo che non può stare nelle stesse mani di chi spende e i commissariamenti che diventano permanenti e inconcludenti.

Questa è la nostra collettiva insanità: pretendere che spendendo di più si possa ottenere il meglio, mentre la giugulare del contribuente resta inutilmente aperta.

Davide Giacalone, La Ragione 3 marzo 2024

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