Il commento di oggi

Manifestare

Manifestare

Ci sono in giro idee ripugnanti. Non diverse dalle nostre, che va benissimo; no: ripugnanti. È ripugnante ricordare l’infame terrorismo di Hamas – che si dispiega da anni e che ha scatenato la guerra in corso – senza aggiungere che quell’organizzazione criminale vuole e versa il sangue dei palestinesi per rendere impossibile ogni forma di convivenza con Israele. Non è una nostra interpretazione, sono le sue parole. È ripugnate che si ricordi la strage dello scorso 7 ottobre come se sia stato un atto di liberazione o di legittima guerra, senza una parola sui bambini che sono stati scannati e sui civili trucidati non perché combattenti ma soltanto perché israeliani, perché ebrei.

È ripugnante che si gridi alla liberazione della Palestina «dal fiume al mare», ovvero chiedendo la cancellazione di Israele e lo sterminio di tutti gli israeliani che legittimamente vivono nel loro Paese. È ripugnante che si parli di «occupazione» israeliana di territori palestinesi senza raccontare che dopo la risoluzione Onu del 1947 gli israeliani si sono dedicati alla costruzione del loro Stato, entro i confini assegnati, mentre lo spazio palestinese è stato occupato da Paesi arabi non per dare uno Stato ai palestinesi ma per impedire che Israele nascesse. È ripugnante che non si riconosca che l’occupazione fu prima di tutto araba, che Israele non ha mai avviato alcuna guerra di conquista ma ne ha subite una dietro l’altra, inframezzate da continue azioni terroristiche. Ed è ripugnante che si cancelli la memoria, proprio relativamente alla Striscia di Gaza, di quando Israele (nel 2005) fece sgomberare con la forza i propri coloni, abbatté le loro costruzioni e consegnò quella terra ai palestinesi. Si voleva propiziare la convivenza pacifica e si verificarono invece il prevalere di Hamas, l’uso di Gaza come base terroristica e l’uso degli aiuti internazionali per costruire cunicoli utili soltanto a portare la morte in Israele.

Fa schifo che il frammischiarsi di ignoranza e palese falsificazione dilaghi anche nelle università occidentali, innescando reazioni che non hanno nulla a che vedere con le legittime critiche al governo israeliano (del resto vivaci anche in Israele) ma hanno non il sapore bensì l’inconfondibile impronta dell’antisemitismo. Il che non è soltanto un’infamia, ma la negazione e distruzione della nostra stessa storia occidentale, con la demolizione di quel che è maturato dopo la Shoah (che non è sinonimo di “ingiustizia” e neanche di “genocidio”, ma un evento unico la cui gravità, per noi, consiste nell’essere frutto della nostra cultura).

Tutto questo è ripugnante. Ma il mondo che qui è stato costruito, anche con il sacrificio di milioni di ebrei e con combattenti civili che hanno dovuto impugnare le armi, è un mondo in cui ciascuno ha il diritto di manifestare le proprie opinioni. Anche quelle che a me paiono ripugnanti. Per questa ragione preoccupa l’eventualità che manifestazioni e cortei possano essere proibiti, nell’approssimarsi del 7 ottobre. I timori che corrono al Ministero degli Interni sono fondati, ma il mestiere delle istituzioni democratiche e repubblicane non è quello di proibire per evitare, ma di consentire e assicurare il rispetto dell’ordine pubblico. Il che comporta anche il dovere di identificare chiunque commetta atti di violenza e chi inciti all’odio, provvedendo poi a portarlo davanti a un giudice per richiederne la condanna a giusta pena. La libertà è responsabilità, mentre il negare favorisce l’irresponsabilità.

Non ci sono infine soltanto la responsabilità e il dovere di chi deve assicurare la libera esposizione delle idee: vi sono anche i compiti che spettano all’informazione. Non è pensabile che una questione di questa portata debba esaurirsi nel confronto di pochi minuti fra chi sostiene il falso e chi prova a ricordare la Storia, come fossero opinioni sullo stesso piano. Ci sono le opinioni e ci sono i fatti. Il falso si ha il dovere di individuarlo come tale, senza invitarlo all’esibizione per il solo gusto dello spettacolo.

Davide Giacalone, La Ragione 14 settembre 2024

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