Il commento di oggi

Memostoria

Memostoria
La memoria non è un giorno del calendario, non si può piegarla a convenienze politiche o a rivalse da perdenti.

La memoria non è un giorno del calendario. La colpa per il male che si è fatto non ha nulla a che vedere con i tanti mali che sono esistiti ed esistono. Non mi piace la definizione di “male assoluto”, quando si parla della Shoah. Non c’è una graduatoria. Ma per la colpa sì. E la colpa più grave è quella che hai commesso, che ha commesso il tuo mondo, covata nella tua cultura. Il fascismo è la nostra colpa. Aggiungere che anche in Cambogia ci furono genocidi o che ci sono zone in cui i cristiani sono perseguitati è segno di un certo buio nell’animo, della viltà che fa scappare innanzi alla colpa propria e cerca alibi nelle colpe altrui. La memoria è fare i conti con la propria storia. Sempre, non in una ricorrenza che diventa sterile produttrice di inutile retorica.

È una faccenda così dolorosa e profonda che non si può piegarla a convenienze politiche o a rivalse da perdenti. Dopo una guerra, in particolare dopo una guerra civile, possono esserci il perdono e la pacificazione – come provarono in Sudafrica per chiudere l’orrida pagina dell’Apartheid – ma non può esserci l’oblio. Ciascun caduto è una vita persa, ma neanche i morti sono tutti uguali. I ‘ragazzi di Salò’ furono gli attivi realizzatori del rastrellamento degli ebrei. Nel solo 16 ottobre 1943, nella sola Roma, ne furono acchiappati e con la violenza deportati 1.023. Che erano 1.023 italiani. Ne tornarono 16. E no, la loro morte non sta sullo stesso piano di quella dei repubblichini che persero la vita in battaglia, perché quegli italiani ebrei morirono senza colpa, mentre quelli di Salò morirono con una colpa talmente grande da riflettersi su tutto intero un Paese che già aveva assistito alle leggi razziali (1938) senza prendere d’assalto i fascisti e consegnare il regime a una fine meritata e anticipata.

Dire «Mussolini fu uno statista», facendo la faccia ottusa di chi crede d’essere furbo nell’avere accompagnato quel cognome a una qualifica non negabile, è solo un mezzuccio da cacasotto per non fare i conti con la storia, per cancellare la memoria: Mussolini è una colpa italiana.

Certo che noi antitotalitari siamo antifascisti quanto siamo anticomunisti. E certo che anche il marxismo è figlio del mio mondo culturale, dei figli di Hegel. Ma non il comunismo sovietico, che si realizzò lontano dalle condizioni immaginate da Marx, che di suo era un esagerato cantore del capitalismo e lo immaginò capace di compiersi e crollare. Non ne azzeccò una, il presunto scienziato. Ma quel che accadde e accade in Russia è il trasfondersi nell’assolutismo euroasiatico e nell’imperialismo zarista di una presunta causa sociale. Esecrabile, ma non è roba nostra. E benché si sia cresciuti fra gente che guardava a Mosca come al paradiso, è oggi troppo facile condannare quel che era evidente a chiunque volesse vederlo. Facile perché altro da noi e dalla nostra storia.

Non così il fascismo. Quella è roba nostra. C’è una vicinanza mentale fra i propalatori woke del politicamente corretto e i relativizzatori degli orrori: gli uni e gli altri decontestualizzano gli accadimenti, adottano un moralismo senza morale supponendo di potere cancellare il tempo e lo spazio. Per i primi il male è sempre ovunque, per i secondi non si trova da nessuna specifica parte. Entrambi provano a dividere il male dalla colpa: i primi per condannare tutto il male e i secondi per cancellare ogni responsabilità. Non funziona così.

Cancellando Mussolini dal mondo non si è cancellato il male dal mondo. Ovvio. La morte di nessuno dei grandi carnefici ha fatto sparire il male dalla storia. Ma se ti tieni il suo testone a portata di carezza, se ti ritrovi e commemori con il braccio teso, quel male ce lo hai in casa. E dire che anche in altre case ci sono altri mali serve soltanto a certificare che non hai il coraggio di misurarti con la storia.

Questa è la ragione per cui la Memoria ha un senso solo se è dolore, se indirizzata a ricordare le colpe proprie. Personali e collettive. Il problema non sono le vittime, ma i carnefici.

Davide Giacalone, La Ragione 25 gennaio 2024

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