Il commento di oggi

Senza futuro

senza futuro davide giacalone

Rassegnarsi alla bancarotta scolastica significa rinunciare al futuro. Sottrarlo a ciascuno degli studenti e, conseguentemente, alla collettività. Il futuro arriverà comunque, come sempre, ma quello che dai banchi non si costruisce dopo impoverisce. E quel che più preoccupa è la totale assenza di consapevolezza, l’assenza di rivolta da parte delle famiglie, l’assenza di reclami da parte degli studenti. La bancarotta scolastica avviene nel silenzio, segno di una più vasta bancarotta morale.

Non si può che definirla bancarotta perché la ragione per cui esiste la scuola pubblica, e il relativo obbligo di frequentarla, risiede nella volontà e necessità di ridurre al minimo le differenze di partenza fra i più giovani. La scuola pubblica esiste per offrire a tutti la possibilità di farsi strada per merito, senza che il bisogno ostruisca il percorso. Per questa ragione lo scopo della scuola pubblica è certo quello di offrire a tutti la possibilità di studiare, ma anche quello di riequilibrare le differenze culturali dovute a disagio sociale, economico o geografico. Ed è qui che si concentra la bancarotta.

Nei giorni scorsi s’è discusso del dato rilanciato da Save the children, sulla spaventosa quota di ragazzi che non sono in grado di capire un testo appena letto. Antonella Inverno, che per quell’associazione si occupa delle politiche per l’infanzia, ci torna disaggregando per regione i dati delle prove Invalsi. Se il 44% complessivo non capisce quel che legge, tale percentuale scende al 15.9 a Trento, ma sale al 64.2 in Campania, 63.5 in Calabria, 57.2 in Sicilia, 50.2 in Abruzzo. E in italiano si va già meglio che in matematica, dove l’incapacità media nazionale arriva al 51%. Masse di ragazzi che arrivano agli esami di maturità con le competenze che potevano ritenersi soddisfacenti alle medie inferiori. Anni di presunto studio buttati via.

Ma la disparità che emerge da quei dati ne nasconde una ancora più feroce: il liceo del quartiere bene di una qualche città del Sud ha risultati del tutto paragonabili a quelli di un liceo analogo al Nord, ma le scuole nei quartieri disagiati o nei paesi periferici se la giocano con l’Africa in via di sviluppo. Quindi, all’opposto di quel che dovrebbe essere, chi nasce favorito viene rifavorito e chi nasce svantaggiato viene risvantaggiato. Totale bancarotta. Resa ancora più crudele dal fatto che tanti insegnanti provano in tutti i modi a rimediare, da sottopagati, mentre troppi loro colleghi sono pesi morti e soldi buttati. Infine: eravamo messi male prima e il covid ha peggiorato le cose, chiudendo le scuole e con la didattica a distanza che dovrebbe essere uno strumento riequilibratore (da qualsiasi posto puoi accedere alle lezioni migliori) e invece ha funzionato da distanziatore, per mancanza di infrastrutture e competenze.

A questo punto si può affrontare la questione in sindacalese e politichese, proclamando la necessità di spendere più soldi pubblici, garantire condizioni migliori ai docenti, stabilizzare quelli “precari”, offrire a tutti un diploma. La fabbrica della dilapidazione e dell’ignoranza.

L’approccio diverso parte da ciascuno di noi, dalle famiglie e dai ragazzi: solo i cretini possono pensare che lo scopo del corso di studi sia la promozione, laddove è l’apprendimento, per cui protesto vivacemente se mi accorgo che mi viene sottratto quel che già pago, con le tasse. Serve una scuola meritocratica e selettiva, che è l’opposto della scuola classista, ovvero quella che abbiamo davanti agli occhi. Una scuola meritocratica e selettiva è in grado di farmi sapere per tempo che non sono preparato, mettendomi nelle condizioni di scegliere cosa fare, senza subire la mattanza colletiva del declassamento culturale. Per avere un simile servizio devo metterci a lavorare chi è selezionato a sua volta: concorsi senza graduatorie ad esaurimento; verifiche dei risultati, nel tempo; premio a chi forma meglio e tanti saluti a chi non sa farlo. Brutale? Brutale è restare senza futuro per incapacità d’essere persone serie nel presente.

Davide Giacalone, La Ragione 29 maggio 2022

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