In letteratura, sia saggistica che di fantasia, si trovano diversi tentativi – a spasso per le democrazie e gli Stati di diritto – di mettere sotto inchiesta i servizi segreti. In genere la cosa finisce nel nulla, perché o si tratta di tradimento dello Stato oppure l’agire nell’ombra e con metodi non raccontabili è consustanziale al ruolo dei servizi segreti. La cosa originale, che ora debutta in Italia, è che siano i servizi a citare in giudizio dei giornalisti, accusandoli di diffamazione. Tanto più che la reputazione dei servizi è legata ai risultati, non a quel che se ne dice e scrive.
Non sembra essere una buona idea neanche quella di presentare, da parte di chi dirige i servizi segreti, esposti contro procuratori della Repubblica. La prima e la seconda cosa per diverse buone ragioni, a cominciare dal fatto che i denunciati avranno l’ovvio diritto di difendersi e lo faranno chiedendo di avere documenti probanti da parte del denunciante. E il fornire documenti non è esattamente nello spirito dei servizi. Non fornirli, del resto, non è una buona idea se prima si è denunciato qualcuno.
C’è poi un altro aspetto: dirimere contrasti fra il ruolo istituzionale dei servizi e quello di chi ricopre altre funzioni istituzionali, come difendere l’operato di chi non può che operare nella riservatezza, è compito del governo. Se si portano le cose in tribunale poi si fa fatica a sostenere che chi sarà chiamato a occuparsene non debba mai invadere lo spazio della politica.
Davide Giacalone, La Ragione 14 febbraio 2025