Il commento di oggi

Suonati

giacalone editoriale la ragione 17 luglio

Ricordare e difendere il valore della cultura di un Paese che oggi è in guerra contro la civiltà non è un cedimento, ma una riaffermazione di forza e di diversità, di distanza dalla dottrina criminale che oggi (e non solo oggi) domina la Russia. La questione che riguarda Valery Gergiev, direttore d’orchestra e sodale di Putin, coinvolge questioni di principio. Che vanno maneggiate con cura.

È parte della propaganda putiniana far credere che il nostro mondo, il mondo libero, coltivi repulsione per quel che arriva dalla Russia. Parlano di “russofobia”, che sarebbe paura. Ma non abbiamo nessuna paura e quotidianamente ribadiamo la condanna della vigliacca e sterminatrice aggressione all’Ucraina. Non siamo neanche tentati dal seguire Trump sulla strada buia di una pretesa equidistanza fra le parti: noi siamo e restiamo dalla parte dell’Ucraina. Questo non soltanto non c’impedisce, ma ci spinge a ricordare che noi non saremmo quello che siamo senza tanti autori russi, dalla letteratura alla musica e all’arte figurativa. Quegli autori sono parte di noi stessi, oltretutto sono in buona parte ucraini e costantemente perseguitati dai despoti che si sono alternati al Cremlino. Ricordiamo gli anni in cui anche uno come Giorgio Napolitano esprimeva la condanna per Aleksandr Solženicyn e ci basta e avanza per abitare con lui nell’Arcipelago Gulag.

Gergiev non è Solženicyn, semmai un suo opposto: amico della dittatura e profittatore di regime. Ma c’è una differenza enorme fra noi e la Russia che ha appena finito di condannare lo scrittore russo Boris Akunin a 14 anni di carcere. Una differenza che è il nostro valore e che abbiamo il dovere di sottolineare. Da noi l’espressione artistica è libera, anche se ha per interprete un soggetto riprovevole come Gergiev. Suoni pure e non siamo così suonati da volergli assomigliare.

Comprensibilissima la posizione di Julija Navalnaja, che ci chiede di cacciarlo via, ma la ragione per cui qui può entrare e dirigere è la stessa per cui qui Aleksej Navalny non sarebbe finito in prigione – che si condividessero o meno le sue idee – e non sarebbe stato assassinato da un carnefice di nome Putin. Comprensibilissima, ma è una questione su cui cedere per rabbia e rivalsa significa troppo concedere all’inciviltà di chi ci è nemico.

Ricorda un po’ lo strampalato ragionamento di chi è infastidito per la presenza in Italia delle moschee, accampando come motivazione il fatto che in altri Paesi non sono consentite le chiese, così dimostrando un desiderio pazzoide di volere emulare la condotta di quel che dice di detestare. Da noi esiste libertà di culto e la si difende con particolare vigore laddove si tratti di minoranze. Questa è la nostra superiorità, non barattabile con alcuna esclusività che sarebbe la negazione della nostra civiltà.

Nel caso Gergiev, però, entrano in gioco anche altri fattori. A organizzare il concerto è la Regione Campania. E no, non c’è alcuna buona ragione per cui un’autorità politica, che amministra soldi dei contribuenti, debba invitare un tale soggetto a esibirsi. E sarebbe molto grave che anche un solo centesimo dei contribuenti, o raccolto grazie all’organizzazione finanziata dai contribuenti, finisse in quelle tasche. All’opposto non ci sarebbe niente di male e alcun attacco alla cultura se a Gergiev fosse sequestrata non la bacchetta con cui dirige, ma la ricchezza accumulata grazie alla connivenza putiniana.

Dice il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, che si deve favorire il dialogo. E con chi? Se pensa che quel direttore sia (come è) compare di Putin, ecco un ottimo motivo per non invitarlo. E se non lo pensa non dica cose senza senso.

C’è chi crede che ci si debba dimostrare forti nell’escludere e nel rifiutare. Credo che sia da forti non temere e dimostrarsi radicalmente diversi da chi esclude, rifiuta, condanna e uccide. Posto ciò, valgano i pifferi di montagna: che andarono per suonare e furono suonati. Non per incapacità (come quei tre malcapitati), ma per immoralità.

Davide Giacalone, La Ragione 17 luglio 2025

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